venerdì 16 novembre 2018

7-Quello che ho capito della vacuità


8-QUELLO CHE HO CAPITO DELLA VACUITÀ (Da “L’Anatomia delle Emozioni” di Davide Corvi)
“Only fools claim that emptiness is nihilism.”
Meditation on the nature of mind 
Dalai Lama /P. Lhundrub /J.Cabezon

Esistono tematiche appartenenti alla filosofia religiosa che possono risultare interessanti anche per chi si occupa solo di psicologia laica. Uno di questi è il tema della Vacuità, trattato estesamente nelle Lezioni Italiane del Dalai Lama.
In questo capitolo cercherò di esporre una versione laica della Vacuità, tentando nei successivi  anche di mostrare che la sua comprensione, maturata nell’ambito di una religione ateistica come il Buddhismo, non è forse incompatibile con una visione teistica della vita.
Partirò da un esperimento pratico di neurologia che ogni anestesista effettua molte migliaia di volte nella sua carriera: l’anestesia spinale. 
Per alcuni interventi chirurgici è possibile rimuovere la sensibilità del corpo al di sotto di un certo metamero iniettando una dose di anestetico locale nello spazio subaracnoideo, caudalmente rispetto al midollo spinale. Il paziente, posizionato inizialmente con le gambe flesse, avverte un intorpidimento delle gambe e, nel giro di pochi minuti,  la scomparsa di ogni sensibilità degli arti inferiori e anche della capacità di movimento, tanto che è possibile amputare una gamba senza che il paziente avverta alcun dolore. Curiosamente spesso il soggetto riferisce la sensazione di avere le gambe flesse anche quando queste sono completamente estese: l’anestesista allora spiega che il cervello ha “memorizzato” l’ultima posizione prima dell’anestesia, e ora che tutti i segnali nervosi provenienti dai nervi delle gambe sono scomparsi, quasi per “riempire un vuoto anatomico” il cervello crea o persiste nell’immagine percettiva delle gambe flesse. Analizziamo questo fenomeno sensoriale da vicino. La sensazione “gamba flessa” non è presente nelle gambe, dato che queste non hanno più la possibilità di inviare segnali alla coscienza. Il fenomeno è pertanto presente solo nella scatola cranica (oppure, se siamo sostenitori di un dualismo mente-cervello, argomento che ora accantoneremo per necessità di semplificare un discorso già complesso, la sua componente elettrica comunque lo è). 
Ecco dunque il fatto eclatante: una sensazione a noi così intima come la posizione delle nostre stesse gambe non solo si rivela falsa (con grande stupore del paziente!) ma si rivela ad un attenta analisi collocata spazialmente in una sede che non ha nulla a che fare con le gambe! 
Proseguendo nella nostra riflessione siamo costretti a constatare che quello che l’anestesia spinale ci ha rivelato è in realtà ciò che avviene per qualunque fenomeno corporeo: ogni sensazione è in realtà dovuta a un movimento di elettroni nella scatola cranica e non nel corpo reale. Questo è un primo livello di Vacuità dei fenomeni, di cui i buddhisti parlano solo per metafore ma i neuroscienziati e i neurochirurghi sanno per certo essere vero: i fenomeni non sono come li percepiamo e neppure dove li percepiamo: il mondo che viviamo è solo una riproduzione del vero mondo, del quale non possiamo conoscere nulla “direttamente”, proprio come i filosofi empiristi da Hume in poi avevano capito. Però, in difesa dei filosofi realisti che si oppongono ai pensatori scettici, questo non significa affatto che il mondo reale non esista: con un parallelismo un po’ azzardato, è vero che non possiamo vivere di persona i fatti della Rivoluzione Francese, e possiamo solo leggerne dei resoconti, ma ciò non significa che questi fatti non siano avvenuti.
Noi vediamo solo un resoconto delle cose, un resoconto elaborato in modo coerente e logico dal cervello.
Il secondo livello di Vacuità dei fenomeni consiste nella considerazione, derivata dallo studio della fisica, di come qualunque evento e qualunque oggetto siano composti da particelle-onde infinitamente piccole, in continuo vorticoso movimento, la cui natura energetica o corpuscolare sfugge attualmente a una chiara definizione: in poche parole, non solo non possiamo percepire direttamente il mondo, ma bisogna ammettere che- anche se potessimo percepirlo- esso si rivelerebbe un complesso intrecciarsi di evanescenti fenomeni microscopici.
Però dobbiamo fare attenzione a con cadere in un poetico nichilismo, vedendo avverarsi la profezia shakespeariana secondo cui “siamo della sostanza di cui sono fatti i sogni”: pensarlo condurrebbe all’azzeramento di ogni condotta morale: a che pro agire per il bene altrui o nostro se tutto non è altro che un sogno?
In realtà dobbiamo immaginarci come immersi in un particolare videogioco di realtà virtuale, tale per cui se appare una tigre, noi sappiamo che quello che vediamo è solo un gioco di luci e non una tigre vera, ma sappiamo anche che- a differenza dei giochi virtuali-in quel momento il nostro impercettibile corpo reale sta davvero per essere divorato da un’altrettanto impercettibile tigre reale, e le conseguenze di tale pasto sarebbero da un lato impercettibili ferite reali ma dall’ altro percepibilissime ferite virtuali! Sappiamo cioè che le nostre scelte e i nostri comportamenti avranno una conseguenza sulla nostra vita e  sulle vite degli altri, sulle loro emozioni.
Per questo dobbiamo impegnarci con tutta l’anima per vincere quella partita virtuale, una volta stabilito quali sono gli obiettivi.
Io propongo quindi da un punto di vista filosofico un realismo moderato: gli eventi non sono immaginari, però non sono direttamente percepibili, ne possediamo solo un’utile riproduzione (non diceva forse S.Paolo che vediamo le cose attraverso uno specchio?).
Se la visione realista garantisce la necessità del nostro impegno nel mondo, la sua moderazione ad opera della teoria della vacuità riduce l’impatto doloroso dei fenomeni stessi: una volta avvenuta la lotta con la tigre, una volta medicate le ferite, mi ricorderò che il dolore che provo non è reale, è solo virtuale.

Il terzo livello della Vacuità è la Vacuità del Sè, ma richiede un capitolo a parte.

mercoledì 14 novembre 2018

6- L’ATTENZIONE

6-L’ATTENZIONE

“Il fatto stesso di percepire, di fare attenzione, è di carattere selettivo: ogni nostra attenzione, ogni nostra fissazione della coscienza, comporta una deliberata omissione di ciò che non interessa.”
J.L. Borges Discussione (Tutte le opere, Mondadori)

Abbiamo passato in rassegna tutti i componenti essenziali della nostra vita, gli “atomi esperienziali”.
Abbiamo scoperto che le emozioni non appartengono agli atomi esperienziali: sono piuttosto delle “molecole”, essendo l’insieme di due atomi esperienziali (pensieri e sensazioni).
Ora però dobbiamo concentrarci su un aspetto di questo teatro che non abbiamo citato prima, ma non certo perché meno importante: la luce, l’occhio di bue, o fuori di metafora l’attenzione. 
L’attenzione è la capacità della nostra mente di selezionare e soffermarsi su uno o più fenomeni esperienziali. E’ al di fuori dei contenuti dell’esperienza in quanto ne è il regista, o il fotografo che punta l’obiettivo in un punto preciso di un vasto panorama.
I meccanismi neurali che soggiacciono all’attenzione sono complessi, e strettamente collegati ai meccanismi che regolano sonno e veglia. 
Da un punto di vista interiorista l’attenzione è semplicemente la nostra facoltà di scegliere e mantenere un oggetto come centro della nostra stessa esperienza istantanea. È intuitivo capire che l’attenzione quando non è automatica, è conseguenza di un pensiero volitivo precedente.
Quando prestiamo attenzione a qualcosa, nella nostra mente sono presenti contemporaneamente due tipi di fenomeni: l'oggetto su cui ci concentriamo (che con una terminologia usata da Lloyd Morgan prima e da William James poi possiamo definire oggetto focale) e gli oggetti di sfondo: ossia l'insieme di quei fenomeni- comprendenti i pensieri e tutti e 5 i sensi- che non sono desiderati dalla nostra volontà istantanea, ma rimangono sullo sfondo, colorando come una colonna sonora la nostra esperienza del momento oppure completando attraverso comportamenti automatici la nostra attività del momento. Essi sono stati chiamati da Morgan "oggetti marginali", ma qui useremo il termine "oggetti di sfondo".
Se guardando un film diciamo: "Questa scena mi ha commosso" intendiamo dire: “la percezione della scena (oggetto focale) era accompagnata da alcuni oggetti di sfondo, e fra questi vi erano le sensazioni e i pensieri che vengono "letti" dalla mia mente come “commozione
Ora: se lo sguardo dell'osservatore non si limita alla scena del film ma decide di osservare contemporaneamente sia la scena sia le proprie sensazioni interiori, ecco che le percezioni e i pensieri legati alla commozione divengono anch'essi "oggetto focale", ed è possibile conservare una certa distanza e lucidità rispetto a queste percezioni, divenendo "osservatori non commossi della commozione".
Matthieu Ricard si è espresso più o meno così: "La mente che guarda la tristezza non è triste, la mente che guarda la rabbia non è arrabbiata".
Questo schema è sicuramente un modello semplificato: l’attenzione molto spesso oscilla continuamente dall’oggetto focale agli oggetti di sfondo e ciò che rende “focale” un oggetto potrebbe essere semplicemente la maggior quantità di istanti trascorsi “su di lui”. 
Si tratta quindi solo di un modello pragmatico, e non della verità neurologica.
Per concludere osserviamo che l’attenzione non fa parte degli atomi esperienziali, ma piuttosto di quello che definiremo come “poteri”.



5-RICORDI SENSORIALI E IMMAGINAZIONI SENSORIALI (di Davide Corvi)

“Nessuno vede con nitidezza ciò che non ha piú davanti, anche se è appena accaduto o aleggiano ancora nella stanza l’aroma o lo scontento di chi si è allontanato. Basta che uno esca da una porta e sparisca perché la sua immagine cominci a sfumare, basta smettere di vedere per non vedere piú chiaramente, o non vedere nulla; e con l’udito è la stessa cosa, per non parlare del tatto.”
                      (Javier Marias, Berta Isla)
David Hume, nel suo Trattato sulla natura umana, scrive:
“Le percezioni della mente umana si possono dividere in due classi, che chiamerò impressioni e idee. La differenza fra esse consiste nel grado diverso di forza e vivacità con cui colpiscono la nostra mente e penetrano nel pensiero ovvero nella coscienza. Le percezioni che si presentano con maggior forza e violenza, possiamo chiamarle impressioni: e sotto questa denominazione io comprendo tutte le sensazioni, passioni ed emozioni, quando fanno la loro prima apparizione nella nostra anima. Per idee, invece, intendo le immagini illanguidite delle impressioni, sia nel pensare che nel ragionare: ad esempio le percezioni suscitate dal presente discorso, eccettuate quelle dipendenti dalla vista o dal tatto e il piacere o dolore immediato ch’esso può causare. Non credo che siano necessarie molte parole per spiegare questa distinzione. Ognuno vede subito da sé la differenza tra il sentire e il pensare. In generale è facile distinguere la loro diversità di grado, anche se in certi casi particolari è però possibile che si trovino estremamente vicini l’uno all’altro. Così nel sonno, nella febbre, nella pazzia o in qualsiasi violenta emozione dell’anima, le idee possono avvicinarsi alle impressioni; e, dall’altra parte, talvolta accade che queste siano così deboli e tenui da non poterle distinguere dalle idee. Ma malgrado questa stretta rassomiglianza che troviamo in alcuni casi, esse sono in generale tanto diverse che nessuno può farsi scrupolo di classificarle separatamente e assegnare a ciascuna un nome speciale per metterne in rilievo la differenza. David Hume, Opere filosofiche, Bari, Laterza, 1739

Sembra da questo brano che Hume chiami i cinque sensi “impressioni” e il loro ricordo “idee”. Non si capisce però che valenza volesse dare ai pensieri stessi
La definizione di ricordo sensoriale data dalla psicologia interiorista è invece sovrapponibile a quella del linguaggio comune, ed è con ogni probabilità quello che Aristotele e Tommaso d’Aquino chiamavano “Phantasmata”:
si definisce ricordo sensoriale un'esperienza simile alla percezione sensoriale, ma con le seguenti caratteristiche:
1) è associata alla convinzione che sia avvenuta in passato ed
2) è in genere meno vivida della percezione stessa.

Invece l'immaginazione sensoriale è un'esperienza che, come il ricordo sensoriale, è simile alla percezione sensoriale e, sempre come il ricordo, è meno vivida della percezione stessa ma- a differenza di quest'ultimo- è associata alla convinzione che non sia avvenuta in passato ma che sia una creazione della nostra stessa mente
Ad esempio: se vi chiedo di immaginare una faccia con una scarpa al posto del naso, si formerà ai vostri "occhi interiori" una certa immagine. La percezione di tale immagine viene detta "immaginazione sensoriale" (in questo caso riguardante un solo senso: la vista).
Su questo David Hume si pronunciava diversamente, attribuendo alle immaginazioni sensoriali un carattere meno vivido dei ricordi. Io non credo che sia così, tanto è vero che alcuni meditanti buddhisti si allenano a ricostruire mentalmente delle immagini e da alcuni testi sembra che riescano a visualizzarle in modo molto nitido. Anche Nikola Tesla, nella sua autobiografia, riferisce del carattere morbosamente vivido che avevano per lui alcune immaginazioni. Il dato è confermato da Oliver Sacks ne “Il fiume della coscienza”:  addirittura in un libro autobiografico aveva inconsapevolmente riportato un episodio della sua infanzia per scoprire solo in seguito di non aver mai assistito personalmente a tale evento! Quindi la strada da percorrere se vogliamo distinguere le immaginazioni dai ricordi è proprio quella di rilevare come i ricordi, essendo inseriti in una cornice vissuta e quindi in una trama di certezze, sono associati a una convinzione di verità. Ma intrinsecamente, a livello  fenomenologico, sono indistinguibili.

Qualcuno potrebbe domandare perché non si è ancora parlato di un altro tipo di ricordo: il ricordo esperienziale: la nostra memoria di ciò che abbiamo detto e fatto, la nostra storia, eccetera.
Il motivo è semplice: i ricordi che non siano puramente sensoriali o raggruppamenti di ricordi sensoriali, non sono altro che un sottogruppo dei pensieri: sono pensieri, e se riguardate la definizione di pensiero ciò è abbastanza chiaro.








4-LE EMOZIONI (ANATOMIA DELLE EMOZIONI, Davide Corvi)
Anche la definizione di emozione potrebbe apparire troppo minimalista. 
L’emozione è l’insieme di una sensazione corporea e di un pensiero ad essa strettamente associato, in cui quest'ultimo ha un contenuto che spinge a un certo comportamento, è cioè un pensiero motivante (“Devo assolutamente fare questo”, “E’ necessario che…”, “E’ intollerabile che”, “E’ ottima cosa fare così…”, “Devo fuggire da questa cosa…”, “Questo oggetto è desiderabile, devo averlo”, etc…) .
Quindi, schematicamente: 
emozione=sensazione corporea+volizione.
Per quanto detto il fenomeno emozione comprende soprattutto 2 dei 6 sensi: quello mentale e quello corporeo somatico e viscerale. Gli altri sensi possono scatenare un’emozione, ma non sono parte del fenomeno “emozione”.
Questa definizione è una novità che può portare molti frutti. 
Il primo frutto ha a che fare con il titolo di questo libretto: se l’emozione è una sensazione corporea associata a un pensiero, e se la sensazione corporea ha sempre-per definizione- una sua anatomia, qual è l’anatomia delle emozioni?
Esistono delle conformazioni “geografiche” delle sensazioni che tipicamente si associano a un’emozione?
Sicuramente sì, anche se la ricerca non è ancora andata così lontano da tracciare una vera “mappa” delle emozioni. Un primo, ancora impreciso, ma utile tentativo è stato fatto in questa ricerca: http://www.lescienze.it/news/2014/01/02/news/mappa_corporea_emozioni_percezione-1945453/
E’ esperienza di tutti coloro che si dedicano all’introspezione il fatto che alcune emozioni si localizzino nel nostro corpo. Pensiamo alla frase: “Ho provato una profonda gioia nel cuore”. Non è indice forse del fatto che alcune forme di gioia hanno una componente “toracica” spiccata? (Per la definizione di torace, di addome, e di altri termini anatomici qui usati vi rimando ai testi classici di anatomia).
Se gruppi di ricercatori adeguatamente addestrati all’auto-osservazione si dedicassero allo studio di questo fenomeno forse potremmo disporre di una mappa sia figurativa che descrittiva, in cui una certa forma di gioia venga descritta (per fare un esempio fantasioso ma non troppo) come “prevalentemente toracica anteriore, con una lieve componente cervicale anteriore e una lieve tardiva componente addominale”. Certe forme di paura o di preoccupazione potrebbero svelare una predominante componente cranica (“Ci ho pensato così tanto che mi scoppiava la testa!”), e via di questo passo. 
I ricercatori potrebbero cioè scoprire l’analogo occidentale di quello che nei testi orientali viene di volta in volta chiamato “Chakra”, “Vento interiore”, “Canale energetico”, eccetera. 
Inoltre queste osservazioni potrebbero contribuire a spiegare meglio le tanto citate “somatizzazioni” di problemi psicologici. Non mi stupirebbe scoprire per esempio (ma sto dicendo una cosa priva di qualunque base osservazionale) che l’eccesso di emozioni prevalentemente craniche porti qualcuno a soffrire di cefalea.
Il secondo frutto riguarda la possibilità, per chi si dedica alla psicologia interiorista, di agire sulle emozioni problematiche e trasformarle. Avendo capito che l’emozione è composta da due parti si può cercare di agire sull’una e sull’altra in modo forse più consapevole ed efficace che non se si considerasse l’emozione un’entità non scomponibile, indefinita e oscura. Per esempio si può lavorare sul pensiero che si associa all’emozione, contrastandolo con un pensiero differente, e si può lavorare sulla sensazione, imparando ad accettarla, a non amplificarla, a lasciarla passare, etc… Ma sulle applicazioni della psicologia interiorista torneremo in seguito.
Qui basta osservare che esistono metodi per ridurre o annullare il peso di alcune emozioni negative, ma il primo passo per combatterle è capire che sono negative.
C’è chi per esempio sostiene che la rabbia è servita in questa o in quella occasione per ottenere determinati risultati. Non dubito che un uso della forza, in tutte le sue forme, possa far ottenere nel breve termine alcuni successi, ma il punto è: la rabbia è di per sé positiva? Una personalità caratterizzata dalla tendenza alla rabbia vive costantemente una tensione sgradevole e crea costantemente intorno a sé un clima poco sereno. Nel lungo termine gli iracondi rischiano solitudine, amarezza, e problemi di salute di vario genere. Ma se una parte di noi anche piccola continua a trovare comoda, vantaggiosa o positiva un’emozione che razionalmente è invece dannosa, nessun metodo ci permetterà di scalzarla, perché in realtà non vogliamo scalzarla.








martedì 13 novembre 2018



3-I PENSIERI

Quegli americani allegrotti e disinvolti che si fan chiamare comportamentisti ( ...)dichiarano con un certo calore che non hanno proprio nulla in mente e che pensano esclusivamente con i muscoli; cosa alla quale siamo portati a credere, se prendiamo in esame alcuni dei loro pensieri.
(G.K.Chesterton)
Appearances do not bind you; conceptual attachments bind you. Cut off conceptual attachments, Naropa.
(Meditation on the nature of mind, Dalai Lama, Khonton Peljor Lhundrub, José Ignacio Cabezon)

In un accurato studio al riguardo, Roland-Gosselin (1930; 709) fissa a scopo di indagine il significato esatto del termine "intuizione", quale gli risulta dal vocabolario filosofico del Lalande; "vista diretta e immediata di un oggetto di pensiero, attualmente presente allo spirito e colto nella sua realtà individuale".
U. Eco Scritti sul pensiero medievale

Siamo abituati a molteplici usi di questa parola, per cui può essere che la mia proposta appaia riduttiva. Non dobbiamo però dimenticare che qui stiamo parlando delle componenti più semplici ed elementari delle costruzioni della mente umana, stiamo parlando delle lettere, e non bisogna confondere le lettere con le parole. 
Ecco come un filosofo tomista contemporaneo ha definito il “pensiero”:
“C’è accordo tra il realista e l’anti-realista che i pensieri siano enti cognitivi con particolari contenuti intenzionali” (John Haldane, Reasonable Faith)
Tale definizione ha alcuni difetti: intanto presuppone la definizione non semplice di “enti”, in secondo luogo pecca di circolarità con l’introduzione dell’aggettivo “cognitivo”, infine è esperienza di tutti che molti pensieri non abbiano alcun contenuto “intenzionale”: basta pescare nel mare di tutti i pensieri descrittivi (ad esempio “oggi ci sarà la luna piena”; “Mario è adirato”).
I pensieri semplici, disponendosi in milioni di combinazioni diverse, danno luogo a conversazioni, creazioni letterarie e scientifiche, conversazioni eccetera. La definizione sotto riportata non riguarda queste creazioni della mente umana, ma i singoli pensieri da cui ogni creazione o conversazione o idea umana è composta.
Ecco allora la definizione:
Si percepisce un PENSIERO ogni volta che si percepisce un particolare significato o collegamento fra i fenomeni sensoriali, ovvero ogni volta che quello che percepiamo non è semplicemente riassumibile in un insieme di esperienze sensoriali o di ricordi o di immaginazioni sensoriali. Un pensiero è qualunque fenomeno appaia al di fuori dei sensi e della loro rielaborazione mnestica.
In modo più sintetico: Ciò che non è visivo, non è uditivo, non è ricordo visivo, non è ricordo uditivo e non è sensazione corporea, ecco quello che io chiamo “pensiero”

Il pensiero è quindi qualcosa che va oltre le percezioni sensoriali, le immaginazioni sensoriali e i ricordi sensoriali, in quanto è una ulteriore rielaborazione del contenuto mentale, una rielaborazione che produce significato, per esempio tracciando dei collegamenti fra le cose.
Per essere più chiari, se il sapore di un biscotto mi ricorda mia nonna e mi richiama alla mente la necessità di andarla a trovare, di tutti questi eventi mentali (sapore, ricordo sensoriale della nonna, ricordo sensoriale della sua frase "vienimi a trovare" , e percezione della necessità:"E' opportuno che io vada da mia nonna, altrimenti si offenderà") solo quest'ultima è un pensiero o un insieme di pensieri, mentre tutti gli altri materiali mentali sono definiti in altro modo.
E' importante capire che questo "messaggio" che chiamiamo pensiero non viene sempre percepito come insieme di parole, ma è in genere una percezione pressoché istantanea che solo in seguito e solo in alcuni casi viene "tradotta" in parole.
Quindi i pensieri non sono sempre formulati con parole nella nostra mente. Questa è esperienza comune di chiunque abbia una certa capacità introspettiva. Potremmo dire che, diversamente dall’incipit del Vangelo di Giovanni (“In principio era il Verbo”) nella componente cognitiva della mente “In principio è il significato” mentre il “verbo”, scritto ovviamente con la minuscola, viene successivamente, o in contemporanea.
Probabilmente quando esseri capaci di elaborare azioni complesse ma incapaci di parlare, come le scimmie, riescono a svolgere un compito piuttosto ingegnoso, hanno vissuto dei pensieri privi di parole, ma non potremo mai saperlo realmente perché la certezza potrebbe venire solo dalla comunicazione verbale di tale esperienza. Finché non siamo dentro al cervello di una scimmia non potremo mai sapere se tali compiti vengono svolti come li svolgerebbe un automa oppure con una percezione del proprio vissuto mentale.
Un sottogruppo particolare dei pensieri sono le volizioni, cioè quei pensieri che spingono all’azione: “Devo fare questo…”, “Ora agirò così…”, “Voglio questa cosa…”, etc…Possiamo anche chiamarle “pensieri motivanti”.
Torneremo più volte a riflettere sui pensieri. Anticipiamo alcune considerazioni pratiche che mostrano come sia di vitale importanza “pensare al pensiero” e “definire un modo corretto di pensare”.
Quanto più siamo convinti della verità di un pensiero e di una “costellazione” di pensieri,  tanto più la nostra vita e i nostri comportamenti ne saranno influenzati, al punto che molti comportamenti “disfunzionali” spesso sono direttamente correlati a convinzioni irrazionali, cui si presta una fede cieca: pensiamo al dirigente aggressivo che ritenga che sia sempre e comunque inaccettabile essere contraddetto o sminuito, all’arrivista convinto che il successo sia molto più utile dei valori umani, al fobico che non accetta una situazione normale perché falsamente convinto della sua pericolosità, al politico razzista, che ritiene dannose alcune categorie di persone. Tutti costoro sono vittime di alcuni pensieri, alcuni inculcati e programmati da altri (educatori, genitori, società). Imparare a prendere la distanza da tutti i propri pensieri è il punto di partenza per una nuova impostazione della propria vita, più matura e razionale, e forse più felice. Per questo è importante osservare e criticare spesso da molti punti di vista i propri pensieri.
Ma è possibile osservare un pensiero? Ne parleremo nel capitolo X. ((Secondo alcuni maestri Dzogchen e Chan quando osserviamo un pensiero esso in breve tempo scompare. Ma per capire questa frase bisognerebbe definire il verbo “osservare”.  Il termine qui non significa ovviamente guardare con gli occhi, ma guardare con la facoltà dell’attenzione. Generalmente possiamo semplificare le attività della nostra vita dicendo che quando non riposiamo la nostra mente ha sempre un’attività principale e delle attività secondarie, e che queste ultime vengono svolte con un grado maggiore o minore di automatismo. Quanto più l’attività principale è impegnativa per la nostra mente, tanto più le altre attività diverranno automatiche, quasi come se fossero “svolte da qualcun altro”.
Se la mia attività principale è un certo pensiero, non può essere “principale” anche l’attività di “osservatore del pensiero”.  Nel momento in cui quest’ultima diventa principale, la prima abbandona il campo della coscienza, persistendo brevemente come immagine o ricordo sensoriale.))





2- GLI ATOMI ESPERIENZIALI

L’ANATOMIA DELLE EMOZIONI (di Davide Corvi)
2-GLI ATOMI ESPERIENZIALI
Dal punto di vista della pura biologia, ciò che conosciamo del mondo esterno (una volta accettata, secondo la filosofia “realista” contemporanea, l’esistenza di un mondo esterno alla mente) e ciò che percepiamo del nostro corpo ci è veicolato dai nervi, cioè da una sorta di "cavi elettrici" di natura organica, cellule altamente specializzate, che mettono in contatto le zone che ricevono gli stimoli (i recettori) con il cervello, anch’esso composto da cellule nervose, il quale li percepisce e li rielabora.
Ogni nostra percezione e pensiero è creato da questa fenomenale rete di cellule, nei modi studiati dalle neuroscienze. 
 Da un punto di vista soggettivo invece i “mattoni” che compongono la nostra esperienza sono:
-vista, udito, gusto, olfatto 
Prima di passare alla lettura filosofica di questi fenomeni,  facciamo un cenno all’anatomia che soggiace a queste realtà, tornando, solo per completezza culturale, alla scienza medica; vediamo cioè a cosa corrispondono nella struttura del nostro corpo queste esperienze.
I primi quattro sensi, detti anche sensibilità specifica, devono la loro esistenza, oltre che-ovviamente- agli organi di senso che tutti conosciamo (occhi,  orecchie,  papille gustative, strutture nervose dell’olfatto) a vie nervose molto particolari: si tratta dei nervi encefalici o nervi cranici, ovvero nervi che dalla periferia del nostro corpo accedono direttamente al cervello (mentre gli altri nervi passano prima dal midollo spinale e si chiamano quindi nervi spinali). 
Il primo paio di nervi cranici  veicola al cervello i messaggi dell’olfatto, il secondo paio quelli della vista, il settimo, il nono e il decimo paio quelli del gusto, l’ottavo quelli dell’udito e la sensibilità vestibolare (cioè l’equilibrio).
Non ci addentriamo nello studio delle zone cerebrali deputate a ricevere queste informazioni.
Le
sensazioni corporee (il quinto senso) appartengono a quella che in Anatomia Umana viene definita "sensibilità generale", per distinguerla dalla "sensibilità specifica",  propria dei primi quattro sensi appena citati.
La sensibilità generale comprende a sua volta:
-la
sensibilità somatica, che riguarda la parte più “periferica” del nostro corpo: pelle, muscoli, tendini, ossa . Questa sensibilità, se vogliamo andare per il sottile, è a sua volta distinta in esterocettiva- stimoli tattili sia termici che dolorifici- e propriocettiva- proveniente da muscoli, tendini e articolazioni.
-la
sensibilità viscerale, cioè proveniente dai visceri (esistono recettori capaci di percepire variazioni chimiche, variazioni pressorie, variazioni di concentrazione nei nostri visceri e nei nostri vasi sanguigni). Le informazioni provenienti dai visceri (di cui solo una piccola parte diviene cosciente) sono condotte al cervello da un’altra ricca famiglia di nervi: i nervi del sistema simpatico e parasimpatico.
Le vie nervose della sensibilità generale comprendono quindi i
nervi spinali (che afferiscono al midollo spinale) e alcuni dei nervi encefalici.
Le sensazioni corporee, come vedremo, soprattutto- ma non solo- quelle di natura viscerale, compongono insieme ai pensieri la colonna portante di quei fenomeni che chiamiamo "emozioni”.
Analizziamo quindi in una prospettiva interiorista le sensazioni corporee.
Cosa sono le sensazioni corporee, descritte in modo soggettivo? 
Si tratta di zone spazialmente definibili in rapporto al nostro corpo (zone che hanno quindi una connotazione anatomica percepita) di cui si avverte la stimolazione. 
Usando una terminologia letteraria questa stimolazione ha le caratteristiche di un “flusso di energia”, di una “pulsazione”, di un “vento interiore” (terminologia usata dai meditanti tibetani); ma per voler mantenere chiarezza e intelligibilità dovremo essere meno fantasiosi e limitarci a parlare di una zona o di un insieme di luoghi anatomicamente definiti (almeno in modo sommario) di cui si avverta la stimolazione
Facciamo alcuni esempi.
Tocco il tavolo con una mano: avverto una stimolazione a livello delle parti della mano che sono appoggiate. Difficile descrivere in modo particolarmente preciso questa stimolazione: avvertirò la temperatura più o meno fredda del tavolo, il suo carattere più o meno liscio, ma in ogni caso se volessi privare della componente cognitiva questa sensazione, se cioè non avessi mai imparato i concetti di caldo, freddo, liscio o ruvido, se non sapessi cos’è un tavolo, ma sapessi solo descrivere geograficamente i luoghi del mio corpo, dovrei dire solo che avverto una stimolazione di molti punti anatomicamente posti in quella sede.
Altro esempio: ho mal di testa. Se ci isoliamo dal concetto di dolore e dall’emozione connessa, potrò descrivere a un osservatore esterno alcuni punti del mio cranio che sono stimolati, in modo più o meno pulsante: anche in questo caso se escludiamo alcuni connotati emotivi o cognitivi (“insopportabile, doloroso, gravoso”) che però- e questo punto lo analizzeremo meglio in seguito- non sono parte integrante del fenomeno descritto, posso dire poco di più. Tolta la parte cognitiva e volitiva, resta una zona anatomica stimolata in più punti in un modo che si può descrivere solo per analogie e senza una grande precisione.
Concludendo, il connotato fondamentale delle sensazioni corporee, ciò che le distingue in modo netto dalle altre sensazioni (visive, uditive, etc…) è il fatto che sono anatomicamente localizzabili, sono cioè in diretta relazione con il nostro schema corporeo mentale.



BIBLIOGRAFIA: Anatomia Umana, Balboni, edi-ermes, 1987, volume 3


L’ANATOMIA DELLE EMOZIONI

“Therefore, in the process of establishing both external and internal phenomena, we must rely on reasoning.”
Dalai Lama
Stages of meditation

1 E’ GIUSTO RIDURRE AD ATOMI L’ESPERIENZA UMANA? 
La nostra esperienza di esseri umani è costituita da fenomeni provenienti dai cinque sensi e da elementi più complessi, definibili di volta in volta come pensieri, emozioni, volizioni, etc...
Nei trattati buddhisti si parla di sei sensi, di cui il sesto sarebbe quello attraverso cui si percepiscono i pensieri stessi: di questa curiosa classificazione parleremo in seguito.
A mio avviso si potrebbe pensare di ridurre a pochi "atomi esperienziali" ogni fenomeno percepito dalla nostra coscienza (nel capitolo sulla coscienza chiarirò che però al termine “coscienza” andrebbe riservata una definizione di gran lunga più precisa della comune accezione). Prima di capire come ciò sia possibile vorrei usare la similitudine della partita a scacchi. Molti sanno che gli elementi che si muovono sulla scacchiera sono, per ogni schieramento, le otto pedine, le due torri, i due cavalli, i due alfieri, il re e la regina: relativamente pochi pezzi per un gioco così fenomenale e ricco di sfumature. Com’è possibile che battaglie, strategie, lampi di genio, soddisfazioni gioie e frustrazioni intense, siano dovute solo a quei trentadue pezzi?
Eppure è così: sono i “pensieri” che stanno dietro a quei pezzi, le regole del gioco, associati alle infinite combinazioni in cui essi possono disporsi, a creare il mondo scacchistico.
Uscendo dall'analogia, se io dovessi proporre i "pezzi" fondamentali di ogni nostro istante di vita, qualcuno potrebbe ribellarsi vedendo così smontata la sacralità della sua esistenza, e dichiarare che la vita non può essere riducibile a quei pochi pezzi.
E avrebbe ragione: la vita è molto di più, così come gli scacchi sono molto di più di trentadue statuette, e così come la letteratura non è riducibile al numero delle lettere dell’alfabeto né la biologia al susseguirsi di basi azotate del DNA: tuttavia in un’altra ottica tutta la letteratura non è altro che una combinazione di quelle poche lettere.
È giunto quindi il momento di presentare gli “atomi esperienziali”. È chiaro che da un “ricercatore sincero” (epiteto con cui il monaco Buddhadasa iniziava i suoi discorsi) mi posso aspettare varie obiezioni, per esempio il suggerimento di aggiungere “atomi” che ho trascurato, sfuggiti alla mia ricerca, ma credo sia difficile che possa criticare l’impostazione atomistica di per sé. Infatti se questo studioso dovesse riferire di uno stato mentale che non ha alcun legame con gli “atomi”, dovrebbe comunque essere in grado di descrivere sommariamente questo stato (immaginiamo un particolare rapimento mistico o l’effetto di una certa droga), e sfido chiunque a concepire alcuna descrizione che trascenda contemporaneamente sia i sensi che i pensieri, cioè gli “atomi” di cui sotto. Esperienze di questo genere, se esistono, sono indescrivibili e quindi non possono essere oggetto di studio scientifico. Tuttavia sono pronto ad analizzare possibili obiezioni, e anzi sarei felice di trovarne di valide.
PREFAZIONE

Questo piccolo libro filosofico ha un duplice scopo: in primo luogo fornire alcuni spunti su come si possano affrontare i problemi dell’esistenza attraverso l’uso della ragione e di altre facoltà mentali cognitive ed emotive; in secondo luogo generare delle suggestioni nei ricercatori di psicologia e filosofia della mente affinché intraprendano strade nuove nella conoscenza dei fenomeni mentali.
Personalmente, come molti di noi, ho dovuto spesso affrontare problemi connessi alle mie emozioni, ed è sicuramente questo il motivo che mi ha spinto ad approfondire uno studio non direttamente legato al mio lavoro. Bisogna però precisare che, come anestesista, ho a che fare tutti i giorni con fenomeni cerebrali come il dolore, la coscienza, le percezioni sensoriali, e con le manipolazioni farmacologiche di tali fenomeni, e la mia idea di “mente” non prescinde mai da tutto quello che ho imparato in ospedale.
Dato che i miei studi universitari non mi permettevano di avere un quadro sufficientemente chiaro della multiforme e complessa materia psicologica (troppe teorie articolate e raffinate ma, a una prima valutazione, poco incisive per il mio personale vissuto) mi sono interessato a una filosofia che da millenni si dedica all’analisi filosofica ed esperienziale della mente: il Buddhismo, nella sua componente laica, in particolare alla tradizione filosofica che risale al filosofo indiano Nagarjuna (II secolo d.C.) e che oggi è rappresentata in modo esemplare dal pensiero del Dalai Lama.
Credo che oggi molte persone, non religiose ma desiderose di far chiarezza nel proprio intimo, siano disorientate: mentre per chi ha vere e proprie malattie mentali esistono opportune terapie mediche, per chi affronta i problemi più sfumati e non necessariamente patologici della quotidianità emotiva non ci sono “santi” a cui rivolgersi, a cui chiedere un consiglio: accanto a sacerdoti di vari credo, a volte saggi ma anche portatori di una visione del mondo non sempre compatibile con la razionalità moderna, troviamo guru del pensiero positivo, ma è chiaro che dovrebbe essere lo psicologo moderno a delineare le linee di condotta ideali per migliorare la personalità dell’uomo del nostro millennio. Questo non significa certo che le religioni vadano abolite, ma semplicemente che la saggezza che da esse promana va comunque sottoposta a un’analisi logica, filosofica, o per lo meno esperienziale, per non cadere nelle superstizioni, nei ritualismi vuoti o peggio in dogmi falsi che persistono solo per tradizione.

Secondo una certa corrente di pensiero i fenomeni mentali possono essere indagati, da chi li sperimenta, in prima persona, tentando di elaborarne, insieme ad altri "indagatori" opportunamente preparati, modelli e leggi, come avviene in ogni altro ambito scientifico.
A chi diffida dell’ingresso nella Scienza di teorie con una forte base soggettiva faccio notare che perfino gli esperimenti scientifici più rigorosi e razionali sono basati in primo luogo sull'esperienza sensoriale momentanea degli sperimentatori, che registrano dati provenienti dai cinque sensi, e poi li rielaborano secondo determinate costruzioni teoriche. Perciò la soggettività (o per lo meno una forma di soggettività "condivisa") è alla base della scienza stessa.
La psicologia introspettiva (che in questo testo assume connotati particolari e quindi chiameremo “filosofica”, o “interiorista” anche se la sua ambizione- come vedremo- è quella di essere definita “scientifica”) nasce in Occidente dal pensiero di filosofi e psicologi come Hume, William James e Wundt, ma molto prima che in Occidente un notevole contributo allo studio introspettivo della mente è stato apportato da pensatori e meditanti orientali, buddhisti e induisti, che hanno raggiunto a mio avviso una profondità maggiore, pur avendo composto trattati in cui la componente metafisico-religiosa non è trascurabile, scritti che presentano inoltre per ragioni culturali una minore sistematicità.
In seguito al mio incontro col pensiero di esperti meditanti sia occidentali che orientali, particolarmente coloro che fanno capo all'istituto Mind and Life (M.Ricard, A.Wallace, R. Davidson e l’ispiratore stesso dell’Istituto: il Dalai Lama) ma anche influenzato dagli scritti di Buddhadasa, Gunaratana, Pa Auk Sayadaw e altri esponenti Theravada,
ho avvertito l'esigenza di classificare e rendere più organiche le importanti intuizioni di questi pensatori, rimanendo al livello di base delle loro dottrine e volutamente tralasciando le componenti avanzate, allo scopo di tracciare i fondamenti di questa materia, una disciplina che, non solo a mio parere, può portare molti occidentali nella direzione di un maggior benessere mentale. 
La prospettiva filosofica o introspettiva non si contrappone alle Neuroscienze tradizionali, ma ne integra le conoscenze sulla mente, che stanno sempre più sviluppandosi grazie alle moderne tecnologie (ad esempio la risonanza magnetica funzionale). Per impostarne una sorta di “manifesto” inizierò con una semplice classificazione dei fenomeni mentali, per poi passare ai veri e propri esperimenti, alle possibili architetture teoriche, alle applicazioni pratiche e a progetti futuri .