sabato 15 giugno 2019

15- ANALISI DEI FANTASMI

ANALISI DEI FANTASMI (Da L’Anatomia delle Emozioni di Davide Corvi)
Quello che per Aristotele erano i “phantasmata” è più o meno paragonabile a quello che Hume chiamava “idee”: le copie mentali di un evento sensoriale o emotivo, in parole più semplici i ricordi e le immaginazioni. Questi fenomeni, a voler essere poetici, richiamano davvero i fantasmi della letteratura: hanno contorni meno definiti dell’evento reale, sono molto meno vividi, tuttavia hanno il potere di suscitare emozioni intense e possono anche perseguitarci (quanti fantasmi di innamorate, o fantasmi di errori commessi, tormentano i poveri malcapitati!). Può essere che i grandi scrittori abbiano fantasmi più vividi del comune, data la loro grande capacità di descrivere in dettaglio anche eventi lontani (pensiamo alle Memorie Intime di Simenon, per esempio o alla fervida immaginazione di Tesla).
Hume riteneva che vi fosse una certa differenza di nitidezza fra i ricordi e le immaginazioni, ma io non rilevo nel mio vissuto questa realtà.
Tra l’altro se le immaginazioni (come diceva Hume stesso) non fossero altro che un rimescolamento e un’alterazione dei ricordi semplici (per esempio: non ho mai visto un unicorno, ma ho già visto un cavallo e un corno separatamente, e la mia fantasia non fa che associarli), perché mai l’immagine “fantasmatica” di un unicorno dovrebbe essere meno vivida delle immagini di eventi reali ricordati, essendo composta di fatto da due immagini ricordate? 
Io però non credo che la fantasia si limiti a comporre immagini già viste come in un collage e per dimostrarlo ho pensato questo semplice esperimento: immagino una matita che traccia una linea su un foglio e cerco di imprimere nella mia memoria ciò che ha tracciato. Immagino per esempio che disegni un volto deforme e mostruoso. Posso affermare che questo volto sia la composizione di immagini mnestiche precedenti? No: se lo fosse basterebbe modificare gli occhi allungandoli a dismisura o effettuare qualunque altra modifica per ottenere un viso del tutto nuovo.
Dunque la fantasia applicata al campo visivo non si limita a comporre, ma può sbizzarrirsi con tutto il materiale sensoriale possibile (tutti i “pixel” e i “voxel” mentali in tutti i miliardi di combinazioni possibili, con tutti i colori pensabili).
La fantasia applicata agli altri quattro/cinque sensi richiede un’analisi ulteriore: possiamo immaginare suoni che non abbiamo mai sentito? Sensazioni corporee che non abbiamo mai provato? Sapori? Odori? Trovo più difficile dare una risposta altrettanto chiara. 
Ancora più complesso cercare di capire se possiamo immaginare dei pensieri che non abbiamo mai avuto: personalmente ricordo di aver vissuto in alcuni momenti il ricordo vago di un pensiero passato, non così distinto da poterlo capire o esprimere in parole, una sorta di fuggevole fantasma di pensiero; questo può avvenire anche per intuizioni mai avute in passato, così fugaci da non lasciare quasi traccia.
Tornando alla distinzione ricordo-immaginazione, l’unico modo per distinguere il ricordo dall’immaginazione è dunque forse l’analisi automatica e quasi inconscia che la nostra mente svolge, attribuendo il pensiero “Ciò è accaduto” a questo e a quell’altro fantasma, agevolata nella sua operazione dal fatto che di solito il ricordo si inserisce in una trama di eventi coerenti e parimenti ritenuti reali.

martedì 11 giugno 2019

VYPASSANA- esperimento 1

VYPASSANA
L’analisi della mente nata dagli esercizi di Vypassana comprende un’infinità di testi filosofici. Lo scopo di questo capitolo è approfondire la conoscenza dei pensieri e degli altri aggregati attraverso alcuni esperimenti mentali. Questi esperimenti saranno seguiti da citazioni dei più grandi filosofi buddhisti in merito ai temi affrontati.
  1. In postura meditativa e in totale (o per meglio dire quasi totale) immobilità, focalizzarsi su qualunque fenomeno appaia ai “sei sensi” (in particolare sul fenomeno che appare con più forza, con più intensità) senza compiere alcun lavoro concettuale su di esso, lasciando che appaia e scompaia senza volerlo trattenere o respingere, per poi passare al successivo evento “proposto” dalla nostra mente. Quindi gli unici sforzi richiesti sono: l’immobilità, l’attenzione, l’impegno a non proseguire ragionamenti e concettualizzazioni che dovessero insorgere in relazione al vissuto mentale istantaneo. Se tali ragionamenti proseguissero indipendentemente dalla propria volontà, osservarli come si fa con qualunque altro fenomeno, senza alcuno sforzo ulteriore.
Obiettivi dell’esperimento: allenarsi a stare con vari tipi di contenuti mentali (non proprio tutti, come vedremo) senza esserne turbati (anche il turbamento stesso, nei suoi vari vettori, può essere contemplato senza acconsentire a concettualizzazioni “conturbanti”: persistono forse le fugaci sensazioni di tensione ma non i corrispettivi pensieri), e senza alcuna compulsione ad agire in merito ad essi. Ovviamente va pre-impostato un limite di “sicurezza”: “non agirò a meno che non si tratti di una questione di salute non rimandabile” (es. mi accorgo di aver lasciato acceso il fornello, mi si è completamente anestetizzato un piede etc...).
Quindi dovrebbe nascere una maggior apertura e tranquillità nei confronti dei contenuti del nostro vivere interiore, una maggior conoscenza della sottile composizione e forma di tali contenuti, e la netta consapevolezza della loro impermanenza.
Non bisogna porsi come obiettivo le sensazioni di tranquillità, che però potrebbero manifestarsi come sottoprodotto, dovute alla quasi totale assenza di sforzi mentali discorsivi, e alla riduzione delle paure che teoricamente potrebbe sgorgare dall’assuefazione a qualunque contenuto mentale doloroso. 
Un ulteriore risultato può provenire dall’analisi di ciò che comunemente chiamiamo “negativo” o “positivo”, come chiarirò nel prossimo articolo.

Whatever occurs externally as the manifold appearance of the five types of external objects (forms, sounds, smells, tastes, and tangibles) or internally as some mental activity, at the very moment of its inception as a field it is seen just as it is, and by the force of its advent it is fully potentiated and then vanishes by itself—how could it possibly remain?—released without trace, and in that moment the three crucial functions—carefree detachment in whatever arises, access to wide-open spaciousness, and easy relaxation into the appearance upon its inception—are assimilated. Thus we capture the citadel that is the natural disposition of pure being.

Longchenpa, Natural Perfection