giovedì 16 ottobre 2025

Buddhismo e Cristianesimo: analisi dei parallelismi

 Buddhismo e Cristianesimo: analisi dei parallelismi 

Davide Corvi, praticante buddhista del lignaggio Drikung Kagyu*


Se le grandi religioni sapranno  dialogare con efficacia potremo proteggere davvero l’umanità dall’aridità di valori che la minaccia; in caso contrario, se i credenti resteranno dispersi in molti rivoli spirituali isolati, ciascuno convinto che le proprie verità non abbiano nulla a che spartire con le verità altrui, sarà forse più complesso irrigare questo terreno culturale in modo che non si trasformi in deserto.

Per le mie esperienze di vita e per il mio lavoro di palliativista, un settore in cui le domande spirituali sorgono prepotenti come un tuono estivo, sono portato a considerare come essenziali tutte le grandi religioni, ivi compreso l’ateismo morale (che, a differenza dell’ateismo “di comodo”, è una filosofia molto nobile); il lato spirituale dei malati, e in generale dei sofferenti, è parte della valutazione clinica di ogni medico che si occupa di malattie avanzate, essendo anche questo aspetto, la ricerca di senso, fonte di possibili sofferenze e parimenti di sollievo. 

Essendo inoltre marito di una donna cristiana, e padre di tre bambini che vengono educati secondo entrambe le tradizioni, senza che questo causi loro confusione o disorientamento, ho desiderio di portare il mio contributo in questo dialogo affascinante, pur non disponendo della cultura vasta e profonda dei geshe e dei teologi.

Il mondo è diventato sempre più interconnesso e le diverse forme di spiritualità non viaggiano più su binari separati, ma sembrano orientarsi nella direzione di un fecondo sincretismo (parola che potrebbe suscitare sospetto nei più ortodossi, i quali però dovrebbero ricordare che le loro stesse religioni sono spesso nate da sincretismi o da eresie: per esempio il buddhismo tibetano incorporò istanze induiste e bön, il cristianesimo trasformò l’ebraismo mediante le straordinarie innovazioni apportate da Gesù, e inserendovi in seguito elementi spirituali greci ed ellenistici). 

Molti hanno cercato punti di contatto e di dialogo fra la mia religione, il buddhismo, e la religione più diffusa in Italia, il cristianesimo, e alcuni, a mio avviso sbagliando, li ritengono approcci alla vita molto distanti.

 Le affinità fra i grandi monoteismi possono in effetti apparire più semplici da enucleare, mentre enigmatico o forzato potrebbe mostrarsi a uno sguardo disattento un punto di incontro fra la via di Shakyamuni e quella di Gesù di Nazareth. 

Prima di tutto esporrò quale ritengo sia lo scopo di questa ricerca di simmetrie etiche e mistiche.

Si potrebbe infatti osservare: non è meglio che ognuno si tenga stretta la sua fede senza gettare lo sguardo verso teorie alternative, che potrebbero farla vacillare o insinuare il seme del dubbio? Io credo in realtà che una fede che viene fatta vacillare da un confronto o da un ragionamento è una fede ancora debole, e tale confronto in realtà la può fortificare, se non è una fede di facciata.

I motivi del dialogo secondo me sono almeno tre:

1)il senso di fratellanza fra popoli aumenta con l’aumento del riconoscimento del valore dell’altrui credo; 

2) alcune riflessioni e alcune “tecniche” di preghiera possono essere validamente esportate da una religione all’altra, con beneficio e arricchimento reciproco. 

3)in un mondo che va sempre più verso una secolarizzazione e il suo inevitabile corollario, l’egoismo, è un vero peccato che chi crede davvero nello spirito di fratellanza non possa in qualche modo unire le forze e meditare o pregare insieme, scambiandosi opinioni.

Come testimonianza personale, posso affermare che alcune intuizioni cristiane mi hanno aiutato ad approfondire e perfezionare la mia filosofia buddhista, mentre alcune istanze buddhiste mi hanno fatto apprezzare e capire meglio il Vangelo.

Il punto chiave è saper enucleare il vero fondamento delle due religioni: questo permetterà un’analisi più chiara. Solo per ragioni di semplificazione e per mia ignoranza non includo qui nel confronto le altre grandi religioni: tuttavia personalmente ho profonda devozione, oltre che per le due dottrine qui trattate, anche per l’induismo e tutte le altre grandi religioni del mondo.

Dato che in realtà il buddhismo ha molteplici ramificazioni, d’ora in poi farò riferimento esclusivamente al buddhismo tibetano, sia per semplificare il discorso , sia perché è il buddhismo che conosco meglio (e per essere più preciso avrò uno speciale punto di riferimento nel lignaggio Drikung Kagyu).

Analizziamo per punti le caratteristiche fondanti delle due religioni.

1)La meta finale.

Per cristiano la meta finale , l’unione con Dio tramite Cristo, è da un punto di vista psicologico la trasformazione del cuore delle persone nella Bontà Assoluta. Le formule usate per indicare l’obiettivo sono differenti, di sicuro per il cristiano ha importanza immensa la fede nella natura divina di Cristo, ma il duplice comandamento in cui Gesù ritenne di condensare tutte le leggi, ovvero di amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi (Mc 12, 29-31) non è altro che questo riferimento alla Bontà Assoluta. Dal momento che Dio è mente di Amore infinito, ne risulta che il comandamento principale del cristianesimo è l’Amore Incondizionato. 

Nel Buddhismo, l’Amore Incondizionato o Incommensurabile (cioè infinito e rivolto a tutti gli esseri senzienti con imparzialità) è uno dei quattro Pensieri Incommensurabili, il cui beneficio è inconcepibile, immenso, sia per il proprio benessere che (ovviamente) per il benessere del mondo. Garchen Rinpoche afferma che ciò che chiamiamo Dharma (la legge spirituale nelle religioni orientali) è Amore. 

L’amore privo di parzialità, secondo questo stimato maestro, è la causa di ogni felicità, sia terrena che spirituale. Possiamo dire dunque che il fondamento tanto  del buddhismo quanto del cristianesimo è l’amore incondizionato. Spesso per non confondere questo amore con l’amore parziale o con l’amore romantico noi buddhisti usiamo il termine tecnico di “Bodhicitta”, la mente altruistica volta all’ illuminazione. La felicità suprema scaturisce dunque dallo sviluppare l’amore in massimo grado finché la mente, sempre più libera dai vincoli dell’attaccamento al sè, non diventi “non-duale” come quella di Buddha, che non distingue più fra sè e gli altri, onnisciente e amorevole. 

Così pure il cristiano ricerca l’unione con la mente di Dio a volte rinunciando a se stesso per il bene degli altri, considerando allo stesso modo la propria e l’altrui felicità.

Quindi il nucleo di base delle due religioni è quasi identico (con l’ unica differenza che, per il buddhista, l’amore si estende anche agli animali e in generale a tutti gli esseri, corporei o incorporei). Del resto estensione dell’ amore alle altre specie viventi non è estranea neppure ai cristiani, altrimenti perché Francesco d’Assisi avrebbe predicato anche agli uccelli? (A proposito del poverello d’Assisi sicuramente  agli studiosi cristiani può interessare sapere che anche in Tibet, nel Medioevo, è sorto un grande mistico, che come Francesco viveva in estrema povertà e come lui componeva straordinari canti ispirati dalle sue realizzazioni meditative: Milarepa; il lignaggio di cui oggi espongo alcune istanze discende proprio da lui).

2) La Vacuità.

La Vacuità è il tema buddhista che più ha suscitato perplessità ed errori interpretativi in Occidente. È vero che il Buddhismo cerca solo il Vuoto? Questo Vuoto non è un nichilismo incompatibile con la valorizzazione cristiana del creato?

No, Sunyata (la Vacuità) non è affatto un semplice “vuoto”. È piuttosto un’ estensione della considerazione (avvalorata anche dalla fisica moderna) che nulla esiste se non in relazione a tutto il resto. Nulla esiste di per sé, isolato dal contesto. A livello meditativo questa realtà assume il sapore di un’esperienza forte di distacco e beatitudine che permette al buddhista di raggiungere la cosiddetta “illuminazione”. Ma questa illuminazione si dice che sia come un uccello che vola con due ali: la Vacuità da una parte e la Compassione (Amore) dall’altra.Troppo strano ed esotico per un cristiano? Non credo: se ricordiamo che Dio consigliò a Teresa d’Avila di considerare tutto falso eccetto Lui stesso (ho questo ricordo dalle mie letture ma non riesco purtroppo a trovarne la citazione esatta), si può affermare che in fondo è come se le avesse consigliato di percepire come Vacuità tutto ciò che non sia Dio stesso. Quindi una certa forma di Vacuità può essere utile anche ai cristiani, le cui ali sarebbero Dio (=Amore) e la Vacuità (distacco dal mondo, ma non indifferenza ).

Quanto al distacco dal mondo, esistono sia nel cristianesimo che nel buddhismo approcci differenti. Da un lato alcuni cristiani medievali e i buddhisti della “via dei sutra” miravano principalmente all’emancipazione dal mondo, dall’altro i cristiani moderni insistono anche per l’apprezzamento del creato, mentre nel buddhismo vajrayana (quello più esoterico e connesso con le pratiche delle Divinità) si parla di “visione pura”, in cui ogni fenomeno viene visto come manifestazione del divino, quindi ogni elemento di questo mondo (samsara) non viene visto come scisso dal nirvana (mente divina di Buddha) ma come sua emanazione o come sua più intima e profonda essenza.

Secondo Garchen non vi è nessuna delle grandi religioni che non sia in qualche modo connessa ad Amore e Vacuità (Vajrakilaya teachings, 2019)


3) Trascendenza.

È vero che, mentre il Cristianesimo crede in esseri trascendenti ed eterni, (la Trinità creatrice, la Madonna, gli angeli e i santi), il Buddhismo è invece ateo e vuole solo liberare la mente dal dolore?

No, non è corretto, benché in molti sutra la principale preoccupazione di Buddha sia proprio quella di emancipare dalla sofferenza senza alcuna pretesa fideistica. 

Il Buddhismo è stato definito religione “ateistica”, ma non perché rifiuti la possibilità che esistano Dei (ricordiamo tra l’altro che fu Brahma stesso, il Dio Creatore dell’Induismo, a convincere il Buddha a diffondere il suo messaggio!), ma solo perché non crede per semplice dogma indiscutibile in un unico Dio creatore di tutto, o, per essere ancora più precisi, non ritene indispensabile credervi per avere l’Illuminazione, quest’ultima configurandosi non come adesione cieca a una fede né come egoistico isolamento anestetico da tutto ma come saggezza trascendente, che è libera dal dolore ma che vuole in primo luogo liberare tutti dal dolore.

 Buddha in molti sutra non poneva come prerequisito la fede per poter liberare la mente, ma questo non significa che non vi siano esseri trascendenti, che aiutano i praticanti nel loro cammino, né tantomeno significa che la fede non possa sorgere in modo profondo in un buddhista. Le Divinità Vajrayana sono esseri infiniti, onniscienti, infinitamente compassionevoli. A differenza del Cristianesimo una persona può approcciarsi alla meditazione e alla filosofia buddhista anche qualora rifiutasse l’ esistenza di una trascendenza, ma appunto ciò non implica una filosofia materialista. Basta leggere questo brano di Padmasambhava per rendersi conto del fatto che, pur non definendolo spesso come “creatore”, in realtà i meditanti a volte descrivono questo Essere o questa Mente (di cui le varie Divinità non sono altro che emanazioni sorte per il bene di tutti) come ciò da cui tutto emana:

“Io sono la coscienza illuminata, il lume dei maestri; io sono la matrice dei Buddha dei tre tempi; io sono il padre e la madre degli esseri dei tre mondi; io sono anche la causa di tutta la realtà, l'ambiente e coloro che ci vivono. Non c'è nulla che non scaturisca da me”. 

“Io sono la coscienza illuminata, il sovrano creatore di tutto”

[La liberazione naturale tramite la nuda visione, Padmasambhava; in  “Consapevolezza”a cura di Giuseppe

 Baroetto]


4) La non resistenza al male

Il precetto di Gesù di porgere l’altra guancia in caso di percossa, che anticipò di molti secoli la resistenza non violenta di Gandhi, trova notevoli affinità con un bellissimo paragone usato da Buddha (“se briganti e assassini con una sega da alberi vi staccassero articolazioni e membra, chi per questo provasse furore non adempirebbe il mio insegnamento. Quindi voi monaci dovete ben esercitarvi a non essere turbati, a non lasciar sfuggire dalla bocca nessuna cattiva parola, a rimanere amichevoli e compassionevoli, con animo amorevole, senza segreta malizia. E dovete esercitarvi a irradiare chi vi sta davanti, con animo amorevole, e poi, cominciando da quella, a irradiare il mondo intero con animo amorevole, con animo ampio, profondo, illimitato, privo di rabbia e rancore”, .Kakacûpama Sutta, in canonepali.net).

Allo stesso modo si legge nelle 37 Pratiche del Bodhisattva: “Anche se qualcuno ti taglia la testa senza che tu abbia fatto nulla di male, prendi su di te tutte le sue azioni negative attraverso il potere della compassione”

Questo non implica che non si possa praticare una legittima autodifesa, ma che l’atteggiamento mentale e il movente non deve mai discostarsi dall’Amore


4) Politeismo e Trinità.

Dunque il Buddhismo è un politeismo?

Anche in questo caso, non propriamente: le divinità come accennato non sono divinità mondane mosse da svariati desideri e passioni come nell’ antica Grecia, ma convergono tutte in un’ unica Mente di amore. Ciò ricorda in fondo la Trinità Cristiana dove vi sono più “persone” in un unico Dio. Si può dire dunque che il buddhismo non sia più politeista del cristianesimo, dal momento che non vi è reale separazione fra le Divinità: diversi Dei, in un’unica Mente Assoluta (di volta in volta chiamata Vajradhara, Samanthabadra, Buddha Primordiale…). Garchen afferma che tutte le divinità sono in realtà una sola. 

Ciò che distingue una divinità “mondana” da una divinità da venerare è la percezione della mente della Divinità come Amore Assoluto: se è essenziata di Amore Incondizionato allora è una Divinità da venerare, a prescindere dalla forma in cui si manifesti.

Non credo qui vi siano difficoltà per il cristiano: che importa se la Trinità sceglie di manifestarsi con forme colori e nomi diversi per colpire il cuore di diverse persone in diverse situazioni culturali e mentali? Ciò metterà davvero in crisi il suo monoteismo? 


5)Peccati e veleni:

 nel buddhismo si parla più spesso di veleni mentali che di peccati ma a volte si usa anche la parola “peccati”: il concetto è simile. Essi impediscono alla mente di riconoscere la sua vera natura, che è pura, incontaminata, chiara, compassionevole; il veleno principale è l’attaccamento al sè. I peccati del Cristianesimo d’altro canto spesso sono comunque riconducibili a mancanze di amore per gli altri, e all’ eccessiva inflazione della propria importanza, quindi la visione è ancora una volta compatibile.


6)Metafisica.

La divergenza maggiore fra le due religioni consiste nella dottrina della rinascita, ma il comportamento etico rimane identico. Il cristiano mira al Paradiso, ovvero all’unione con il Dio d’Amore assoluto, il buddhista mira al Dharmakaya, ovvero all’unione con la mente onnisciente e amorevole di Buddha o meglio al disvelamento di tale mente dentro di sè: il fatto che siano possibili più reincarnazioni non cambia la direzione del comportamento, in quanto in entrambe le dottrine solo un comportamento etico e amorevole può portare al paradiso o -nel caso buddhista- a rinascite fortunate e, ancora meglio, all’uscita dal ciclo delle rinascite fondendosi con la mente assoluta del Dharmakaya. Del resto i paradisi esistono anche nel buddhismo, ma non ne sono la meta finale bensì una tappa transitoria verso l’Illuminazione. Una piccola curiosità sta negli inferni buddhisti: anch’essi sono sempre impermanenti, e vanno visti come luoghi di dolore ma anche di purificazione più che di dannazione eterna (concetto quest’ultimo che, se non vado errato, è rifiutato anche da alcuni teologi cristiani). 

In un’analisi più sottile, in realtà la trasformazione della mente ottenuta con la meditazione permette di percepire già come Nirvana il samsara stesso, cioè di percepire come paradiso supremo il mondo fenomenico ordinario (non diceva forse Gesù: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”?)


7)Il rapporto col dolore.  Il dolore per un cristiano è un mistero che conduce, se vissuto in modo spirituale, a una maggior vicinanza a Dio e a una maggior apertura agli altri. Dio, secondo lo scrittore Alessandro Manzoni, “non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande”. In sostanza il dolore provoca una crescita e una purificazione. 

La religione buddhista vuole liberare tutti gli esseri dalla sofferenza e consegnare la perfetta felicità a tutti. Può sembrare quindi paradossale che la sofferenza anche in questa religione possa avere un ruolo positivo. Nel buddhismo il dolore (che non è mai causato dalla volontà di Buddha ma solo dalle proprie azioni negative , le quali tramite la legge karmica conducono a conseguenze dolorose) ha una valenza purificatoria e se si riesce a vederlo in tale ottica si riduce la sua forza. Le cause del dolore vanno rintracciate nelle colpe delle vite precedenti e in ultima analisi nell’attaccamento al sè, che genera i tre veleni che devastano il mondo: avversione, attaccamento e ignoranza. Il dolore dunque purifica il proprio Karma e dovrebbe essere vissuto con questa gioiosa consapevolezza. Liberandosi poi dall’ attaccamento al proprio Io “isolato”, il dolore scompare: nella Vacuità non esiste dolore e perfino gli inferni sono percepiti da un Illuminato come paradisi.


8)Preghiera e meditazione 

Contrariamente al pensiero comune, i cristiani hanno una tradizione meditativa ricca, per esempio nel cristianesimo ortodosso, con l’esicasmo, ma non solo: i mistici come Teresa d’Avila hanno avuto rapimenti che a mio avviso sono paragonabili ad alcuni stadi della meditazione buddhista (in particolare lo stadio di generazione e la grande beatitudine). Quindi vi può essere un fecondo cammino condiviso. Nella Chiesa vi sono esperti di meditazione, come per esempio padre Bormolini, che non hanno avuto timore di ricevere anche qualche insegnamento dall’Oriente. La ricchezza filosofica dell’analisi mentale buddhista non può che essere di aiuto a chiunque voglia pregare con sincerità e concentrazione la propria Divinità, di qualunque religione si tratti. Inoltre la meditazione buddhista può aiutare a risolvere problemi emotivi quotidiani, anche non strettamente connessi con la fede o con problemi morali elevati, migliorando la qualità di vita.

Un’ulteriore assonanza meditativa riguarda l’esicasmo, un tipo di meditazione cristiana che prevede tra le altre cose la concentrazione sull’ombelico, proprio come il gTummo tibetano, la meditazione per generare beatitudine e calore che fa perno sul chakra a livello ombelicale (un punto di concentrazione che peraltro è importante anche nelle antecedenti pratiche induiste, per esempio la pratica tantrica di Kundalini). Di altri chakra (punti di focalizzazione concentrativa ) invece non mi risulta vi sia menzione nel cristianesimo, che sicuramente potrebbe trovare arricchimento dalla loro conoscenza. La recita dei mantra, importantissima nel buddhismo tibetano, può infine trovare affinità nella recita del rosario: la ripetizione continua di una pregnante formula spirituale (presente nell’esicasmo stesso) contribuisce a produrre svariati effetti positivi sulla mente. 


9) Tara e Maria

Tornando al rosario, esistono innegabili similitudini tra queste due meravigliose figure materne: Tara la madre di tutti i Buddha, e Maria la madre di Gesù. Entrambe venerate con grande fede, raffigurazioni di immensa compassione, si presentano con forme e colori diversi (Tara ha 21 forme, Maria si presenta anche come Madonna Nera). Personalmente credo (in base a piccole scoperte personali e a opinioni di esperti) che non solo siano simili, ma che siano la stessa Divinità. Naturalmente per il cristiano Maria non è una Dea ma una creatura santa, pertanto un cristiano non potrà condividere appieno questa mia posizione. Dovrà però ammettere che una creatura che viene definita addirittura “Madre di Dio” non può essere una creatura come le altre. I tibetani invocano Tara in ogni circostanza difficile, mentre alcuni luoghi dedicati a Maria sono noti per le guarigioni miracolose. Così infatti viene definita in una poesia composta da  Khandro Namsal Dorje: “priva di sforzo, tu sei la chiarezza senza sforzo delle quattro gioie. Tara, meravigliosa, non c’è dubbio che tu conceda sollievo agli stanchi. Tara, bellissima, sei perfetta in te stessa e pervadi tutto.”


10) Il sacrificio di Gesù e quello di Buddha.

Gesù, che dona la sua carne e il suo sangue per il bene del mondo, è esempio di quella dedizione totale al bene degli altri incarnata dai Bodhisattva, i santi del buddhismo Mahayana. Pochi sanno che anche Buddha decise (in una vita precedente raccontata nella “Ghirlanda delle nascite”) di donare la sua carne e il suo sangue a dei demoni che la chiedevano come cibo. Inoltre, in un’altra vita, mosso da compassione per dei tigrotti neonati che stavano per essere divorati dalla loro madre affamata, donò in pasto se stesso alla tigre.

Anche la pratica del Tonglen, che, per semplificare, consiste nel prendere in meditazione su di sè la sofferenza degli altri e donare loro la propria gioia, potrebbe essere definita perfettamente “cristica”. 


10) La fede.

La bellezza di sentire che la Divinità ha a cuore la tua vita con più intensità di quanto una madre faccia col proprio figlio unifica i credenti di tutte le religioni in un sentimento indicibile: il sentimento di essere amati da Colei (o Colui) che è Amore, unico centro dell’universo e dell’esistenza. Al di là delle separazioni dogmatiche, questa è la fede. E anche gli atei morali, che pur negando la trascendenza credono in una fratellanza senza compromessi, hanno posto al centro del loro cuore proprio la stessa cosa. 


11) cosa può insegnare un cristiano a un buddhista?

Il perno dell’insegnamento di Gesù sulla carità, con la sua inesauribile efficacia, può contribuire a distogliere lo sguardo del buddhista dalla via del ricercatore solitario, che vuole solo liberare la propria mente: in sostanza Gesù può aiutare il buddhista a vedere la maggior completezza dell’ approccio buddhista  Mahayana (quello più fondato sull’altruismo) rispetto all’Hinayana.


12) cosa può insegnare un buddhista a un cristiano?

Numerosi modi di esprimere la propria fede in meditazione: per esempio alcune fra le pratiche di visualizzazione presenti nello stadio di Generazione possono essere estese alla meditazione cristiana: basterà visualizzare Gesù o la Madonna al posto delle divinità buddhiste (come una volta accennò Sua Santità il Dalai Lama durante una pratica liturgica buddhista). Inoltre il buddhismo può insegnare come mettere in pratica, attraverso percorsi meditativi precisi ed efficaci, forse psicologicamente più dettagliati delle meditazioni cristiane, la massima di Gesù di amare il proprio nemico.


Con questo concludo questa piccola raccolta di suggestioni, augurandomi che aiuti a liberare da eventuali incomprensioni gli esponenti di queste due meravigliose dottrine.

Finché ci saranno molti credenti convinti che la propria Divinità (ovvero il proprio modo di vedere l’Assoluto) sia superiore a quella altrui, il dialogo fra religioni sarà velato da una sottile ipocrisia e non sradicherà veramente il senso di superiorità e il razzismo.

Per questo mi sento di fare una affermazione forte: chi vuole la pace deve essere almeno un po’ sincretista.





*Non essendo io un maestro realizzato, la mia esposizione è soggetta a errori interpretativi, di cui mi assumo interamente la colpa



Davide Corvi 10/10/25


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