GIOVANNI: Quando è giusto compiere azioni eroiche per salvare qualcuno?
PROF: Secondo me vale la prima regola del soccorritore (che viene insegnata anche nei corsi di primo soccorso stradale): la propria incolumità viene prima di tutto. Se parliamo di soccorso a persone sconosciute non ci si avvicina a una scena di pericolo se si teme per la propria vita: ovviamente, parlando in percentuale, se corro un rischio di morire estremamente remoto meglio soccorrere, ma se mi ostino a fare l’eroe rischiando grosso otterrò che invece di una sola vita umana se ne perdono due...Le situazioni della vita sono svariate e non sempre riconducibili a una regola fissa, ma l’importante è evitare gli estremi dell’indifferenza egoista e della temerarietà masochista. Solo se sono certo di cavarmela vado e soccorro.
La temerarietà eroica va evitata per almeno due motivi: 1) del soccorritore conosciamo la buona volontà ma dello sconosciuto non sappiamo nulla: potrebbe anche essere un soggetto negativo per la società 2) In base a quella che abbiamo chiamato Controprova Kantiana, ti piacerebbe una società dove a volte gli esseri più buoni si sentono costretti dalla loro coscienza a immolarsi per degli sconosciuti? Magari spericolati nuotatori/ arrampicatori o automobilisti dissennati? E far pagare così al povero soccorritore l’imprudenza del soggetto in pericolo? 3) La vita degli altri è preziosa ma la nostra lo è altrettanto.
Il discorso ovviamente cambia se il soggetto in pericolo è una persona amata: in questo caso è come se fossi in pericolo anche tu insieme a lei, e la valutazione della scena cambia. Riassumerei tutto in uno slogan: “Per gli sconosciuti mettici tutta l’anima, ma non perdere la vita”.
IVAN: una persona che abbia sempre ricevuto solo dolori dagli altri, ad esempio persone che hanno avuto infanzie tremende e rapporti sociali pessimi, difficilmente svilupperà un senso di amore per il prossimo. Potrebbe addirittura (e comprensibilmente) essere portata a odiare. Lei riuscirebbe a cambiare il suo atteggiamento mentale?
PROF.: Abbiamo fatto discendere l’altruismo dalla nostra necessità degli altri. Per cui basta amare una sola cosa nella vita per capire che la sua piena fruizione richiede la presenza di una società di persone felici. Certo si può apprezzare una partita a scacchi anche con persone infelici, o una gita al lago anche in un mondo depresso, ma se tutti sono infelici avrai avversari scacchistici poco brillanti e un lago pieno di cartacce.
Se il soggetto non ha alcun interesse né apprezzamento per le persone o per altri aspetti della vita dovrebbe farsi aiutare da bravi esperti di malattie psicologiche/ spirituali. Questi ultimi dovrebbero fargli percepire non solo competenza tecnica ma grande calore umano. Parlare con qualcuno è essenziale: bisogna avere questo coraggio, per scoprire che non siamo poi tanto diversi o tanto peggiori degli altri.
Se invece non sei così depresso e apprezzi anche solo una cosa o una persona, procedendo concentricamente da questo affetto puoi “raggiungere” tutti gli altri mediante ragionamenti successivi. Perché si ha bisogno di tutti gli altri anche per coltivare un solo hobby o per il benessere di una sola persona.
BIBLIOGRAFIA:
Ringrazio Roberto Albanesi, che pur elaborando una filosofia molto diversa dalla mia, mi ha suggerito alcune riflessioni utili sul mondo degli “sconosciuti”, che lui chiama “mondo neutro”.
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