giovedì 25 aprile 2019

SHAMATA- (prima parte)

SHAMATA (prima parte)

Vi sono monaci che si dedicano strenuamente all’inspirazione ed espirazione meditata che, meditatamente esercitata e seguita, è di gran frutto e profitto.”
Anapanasati Sutta (canonepali.net)


Come è stato già accennato la nostra attenzione, che è correlata strettamente a ciò che intendiamo con coscienza, ha generalmente degli oggetti di “fuoco” e degli oggetti di sfondo, assimilabile in questo a una macchina fotografica o a un cellulare in modalità ritratto, che- quando decidiamo di mostrare tutti i dettagli di un volto -ci restituisce l’immagine di questo accompagnata da un intorno di oggetti sfocati.
In ogni istante della nostra vita ci stiamo occupando di qualcosa: un’attività, un’osservazione, un pensiero (oppure più di una). Esiste qualcosa che poi ci “sposta”, ci fa muovere verso un’altra attività: può essere una decisione prefissata (“al termine di questo articolo, mi farò un caffè”) o un evento che fa improvvisamente muovere il nostro “fuoco”, il nostro “cannocchiale” (metafora di sapore galileiano usata spesso da Alan Wallace) verso qualcosa d’altro.  
L’esercizio mentale di Shamata consiste in un prolungato utilizzo del nostro potere attentivo, che viene indirizzato a un particolare oggetto nel campo dei “sei sensi” per molti minuti o ore (o, per monaci “maratoneti dell’attenzione”, anche giorni) con finalità variamente definibili ma in genere miranti a una certa modifica del proprio stato mentale, che dovrebbe divenire contemporaneamente più lucido e più rilassato.
Seduti nella posizione del loto o del semi-loto, con la schiena dritta, il corpo (compresi gli occhi) del tutto immobile ma non teso (sono contratti solo i muscoli necessari per il mantenimento di quella postura) i meditanti si concentrano su un solo fenomeno (single-pointedness); spesso viene scelto il respiro stesso nel suo passaggio al punto di “anapana” (tra il labbro superiore e le narici).
Quando l’attenzione divaga e si accorge che sta osservando qualcos’altro (il verbo osservare in questo caso non indica un’attività svolta con gli occhi ma con la mente stessa) il meditante dovrebbe limitarsi a tornare all’oggetto prefissato senza avere alcun moto di fastidio o senso di colpa per aver fallito (tali moti dell’animo causerebbero solo distrazione ulteriore). Questo ripetuto “tornare all’oggetto” genera in condizioni propizie uno stato mentale di profonda tranquillità idealmente priva di sonnolenza in cui predomina l’oggetto stesso. Oltre alle distrazioni, la sonnolenza e l’agitazione mentale sono i due opposti nemici da cui il meditante deve difendersi.
Obiettivi:
Distinguendo gli obiettivi laici da quelli religiosi, dato che per questi ultimi mancano il tempo e la dovuta competenza elencherò i possibili benefici laici e le scoperte svelate con questo esperimento mentale:

1)EFFICACIA Appare nettamente la comprensione del fatto che ciò che riteniamo più connesso alla nostra idea di Sé, ovvero i pensieri, sfugge frequentemente al nostro stesso controllo: non solo le volizioni (sottoinsieme dei pensieri) non hanno sufficiente potere da tenere sotto controllo gli altri pensieri e men che meno le percezioni, ma le volizioni stesse sono impermanenti e fugaci, e ci si ritrova a inseguire un pensiero dimenticando il compito che ci si era prefissato. Ovviamente migliorando la nostra capacità attentiva questo divario tra ciò che penso e ciò che voglio pensare può ridursi, generando il primo possibile beneficio di Shamata, cioè una maggior efficacia della nostra vita mentale in quanto più focalizzata. Tuttavia nella mia esperienza la vita sociale e lavorativa implicano un continuo spostamento su diversi piani della nostra attenzione, rendendo la focalizzazione su un punto solo spesso inapplicabile e apparentemente poco adatta a chi vive nel mondo. È pur vero che forse un’applicazione modificata di Shamata potrebbe invece servire, ma ne parleremo in seguito per non complicare troppo questo articolo.

2)DISTACCO È facile arrivare a comprendere che forti desideri e forti avversioni sono i principali fattori distraenti, per cui concentrarsi vuol dire già di per sé praticare il distaccoverso tutto ciò che non è il proprio oggetto (che chiameremo d’ora in poi “consegna”). Tale esercizio spirituale diviene pertanto un esercizio volto alla libertà mentale, a un distacco rigenerante da pensieri volitivi ripetitivi e sterili.

3)EQUILIBRIO Si inizia a prendere coscienza di alcuni paradossi psicologici: per esempio il fatto che un eccessiva avversione alle distrazioni è nociva alla concentrazione stessa, un esasperato desiderio di calma può essere un ostacolo alla calma stessa, paradossi che nei testi buddhisti vengono talvolta riassunti in frasi sibilline e apparentemente contraddittorie come “abbandona la speranza in un risultato”: questa stessa speranza in fondo potrebbe generare attaccamento e distrazione durante la pratica. In genere ci si allena a evitare gli estremi: l’estremo dell’attaccamento a una distrazione così come l’estremo dell’avversione, l’estremo della sonnolenza come l’estremo dell’agitazione, l’estremo del non credere ad alcun pensiero (in tal caso smetteremmo anche di meditare: a che pro se la volizione “devo meditare” fosse fallace?) come l’estremo di credere a ogni pensiero che si affacci alla nostra finestra di consapevolezza.

4)Gli stati mentali di maggior profondità (assorbimenti meditativi) possono probabilmente essere raggiunti solo durante ritiri intensivi, salvo casi di soggetti particolarmente dotati. Io non sono tra questi ultimi, e nei miei venti minuti quotidiani non ho mai ottenuto molto di più che un gradevole rilassamento concentrato.

Il potenziamento della concentrazione dovuto a Shamata secondo gli esperti può essere utilizzato in esercizi meditativi più avanzati, come vedremo. Perché naturalmente l’oggetto scelto può anche essere diverso dal semplice respiro.

mercoledì 17 aprile 2019

BLOG: AVVERTENZE E ISTRUZIONI PER L’USO

BLOG: AVVERTENZE E ISTRUZIONI PER L’USO

Nei prossimi articoli entreremo nel vivo dell’analisi dei fenomeni mentali, studiando le tematiche della concentrazione, le dinamiche del desiderio e dell’avversione, i fondamenti naturali della conoscenza, le pratiche meditative, la gioia meditativa e mondana, le felicità e alcuni aspetti delle fedi religiose.
Temi complessi, e per i quali in un mondo ideale sarebbe opportuno lasciare il posto a grandi maestri di rara saggezza e compassione. Questi maestri esistono, ma nessuno di essi ha tracciato un compendio sistematico, organico e coerente della filosofia mentale introspettiva con un’impostazione totalmente laica e simile a ciò che mi pare di aver intuito.
Questo è quello che cercherò di fare, a scopo puramente conoscitivo e scientifico, e non certo per indicare a qualcuno la strada per essere felice.
Io sono una persona comune, con alti e bassi emotivi, e non sono un modello di sapienza e compassione, per cui vi prego di non prendere gli esercizi mentali e filosofici che seguono come un percorso spirituale, né tantomeno come percorso terapeutico, un ruolo che il mio blog non ha la presunzione di ricoprire. Le mie conoscenze in psichiatria e in psicologia tradizionale sono quasi nulle, e la mia emotività è sempre stata sotto alcuni aspetti poco equilibrata, con tendenza ad alcune manifestazioni d’ansia: quindi qui non troverete certo un valido insegnante di meditazione o un competente psicologo!
Non sono neppure sicuro che gli esercizi meditativi proposti siano utili per tutti allo stesso modo: la letteratura in tal senso è ancora insufficiente. 

Quindi: se avete grossi problemi psicologici, non ricorrete a questo blog ma cercate altrove, se invece siete studenti di filosofia o di teologia equilibrati, o se siete psicoterapeuti, mi auguro che le suggestioni qui presenti stimolino in voi fruttuose ricerche.

lunedì 15 aprile 2019

OBIEZIONI ALL’ALTRUISMO-2


GIOVANNI: Quando è giusto compiere azioni eroiche per salvare qualcuno?


PROF: Secondo me vale la prima regola del soccorritore (che viene insegnata anche nei corsi di primo soccorso stradale): la propria incolumità viene prima di tutto. Se parliamo di soccorso a persone sconosciute non ci si avvicina a una scena di pericolo se si teme per la propria vita: ovviamente, parlando in percentuale, se corro un rischio di morire estremamente remoto meglio soccorrere, ma se mi ostino a fare l’eroe rischiando grosso otterrò che invece di una sola vita umana se ne perdono due...Le situazioni della vita sono svariate e non sempre riconducibili a una regola fissa, ma l’importante è evitare gli estremi dell’indifferenza egoista e della temerarietà masochista. Solo se sono certo di cavarmela vado e soccorro. 
La temerarietà eroica va evitata per almeno due motivi: 1) del soccorritore conosciamo la buona volontà ma dello sconosciuto non sappiamo nulla: potrebbe anche essere un soggetto negativo per la società 2) In base a quella che abbiamo chiamato Controprova Kantiana, ti piacerebbe una società dove a volte gli esseri più buoni si sentono costretti dalla loro coscienza a immolarsi per degli sconosciuti? Magari spericolati nuotatori/ arrampicatori o automobilisti dissennati? E far pagare così al povero soccorritore l’imprudenza del soggetto in pericolo? 3) La vita degli altri è preziosa ma la nostra lo è altrettanto. 
Il discorso ovviamente cambia se il soggetto in pericolo è una persona amata: in questo caso è come se fossi in pericolo anche tu insieme a lei, e la valutazione della scena cambia. Riassumerei tutto in uno slogan: “Per gli sconosciuti mettici tutta l’anima, ma non perdere la vita”.


IVAN: una persona che abbia sempre ricevuto solo dolori dagli altri, ad esempio persone che hanno avuto infanzie tremende e rapporti sociali pessimi, difficilmente svilupperà un senso di amore per il prossimo. Potrebbe addirittura (e comprensibilmente) essere portata a odiare. Lei riuscirebbe a cambiare il suo atteggiamento mentale?


PROF.: Abbiamo fatto discendere l’altruismo dalla nostra necessità degli altri. Per cui basta amare una sola cosa nella vita per capire che la sua piena fruizione richiede la presenza di una società di persone felici. Certo si può apprezzare una partita a scacchi anche con persone infelici, o una gita al lago anche in un mondo depresso, ma se tutti sono infelici avrai avversari scacchistici poco brillanti e un lago pieno di cartacce.
Se il soggetto non ha alcun interesse né apprezzamento per le persone o per altri aspetti della vita dovrebbe farsi aiutare da bravi esperti di malattie psicologiche/ spirituali. Questi ultimi dovrebbero fargli percepire non solo competenza tecnica ma grande calore umano. Parlare con qualcuno è essenziale: bisogna avere questo coraggio, per scoprire che non siamo poi tanto diversi o tanto peggiori degli altri.
Se invece non sei così depresso e apprezzi anche solo una cosa o una persona, procedendo concentricamente da questo affetto puoi “raggiungere” tutti gli altri mediante ragionamenti successivi. Perché si ha bisogno di tutti gli altri anche per coltivare un solo hobby o per il benessere di una sola persona. 


BIBLIOGRAFIA:

Ringrazio Roberto Albanesi, che pur elaborando una filosofia molto diversa dalla mia, mi ha suggerito alcune riflessioni utili sul mondo degli “sconosciuti”, che lui chiama “mondo neutro”.