SHAMATA-seconda parte
“Passando davanti alle dozzine di pescatori rugosi allineati in silenzio lungo l’antico ponte Galata, ognuno con l’ombrello in una mano e la canna nell’altra, Zeliha invidiò la loro capacità di rimanere immobili per ore ad aspettare un pesce che non abboccava mai”
Elif Shafak
Tina Rassmussen e Stephen Snyder, nella loro bella monografia su Shamata (La Pratica dei Jhana), hanno analizzato la fenomenologia della concentrazione nata dall’Anapanasati, mostrando cosa accade alla mente del meditante nei vari stadi di assorbimento.
Lo studio è davvero affascinante, per chi ha la possibilità di isolarsi in un monastero per molti giorni: sarebbe una stupenda tesi per un laureando in Psicologia o in Filosofia. Temi come la “coscienza” e il “dualismo soggetto-oggetto” potrebbero diventare per lui non più un astruso tema accademico, ma una realtà esistenziale.
Dato che personalmente ho conosciuto solo un primissimo livello di concentrazione meditativa non posso chiosare ulteriormente questo testo.
Dubbi permangono sull’applicabilità quotidiana di una simile trasformazione mentale: in un mondo che richiede concentrazione rapida con spostamento del fuoco attentivo su più fronti e una forte attitudine alla compassione, un’abitudine alla quiete meditativa può giovare davvero? Non può trasformarsi in un Nirvana da cui risulti doloroso e difficile staccarsi?
Agli studiosi l’ardua sentenza.
Gli stessi meditanti però mettono in guardia dall’utilizzo della concentrazione focalizzata come unica tecnica meditativa:
“Single-pointedness is an experiential appearance. It is a worldly path, and during it one accumulates karma.” (Lord Tsangpa Gyaré)
Dovremmo quindi, nel nostro percorso di analisi mentale applicata, continuare a fissare l’obiettivo, che è la creazione di una personalità il più possibile equilibrata e funzionale rispetto alle esigenze che l’altruismo e un corretto amore per il mondo implicano.
Pertanto la tranquillità di Shamata andrà affiancata da un lato all’impulso all’azione che nasce dalla Compassione, dall’altro alla capacità di distacco anche dalle stesse sensazioni di tranquillità (non sviluppare attaccamento per nessuno stato mentale). In questo potrà aiutarci Vypassana.
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