martedì 12 marzo 2019

11- Elogio dell’altruismo

ELOGIO DELL’ALTRUISMO (da L’ANATOMIA DELLE EMOZIONI -D.Corvi)

È riconosciuto da molte autorità spirituali il fatto che lo scopo della vita sia essere il più possibile felici.
 Del resto, se ci prefiggessimo uno scopo diverso, qualora questo altro scopo ci rendesse infelici, sarebbe difficile immaginare una motivazione per persistere in tale scopo, salvo il pensiero che la non realizzazione di esso comporti un peggioramento dell’infelicità stessa. Anche in questo caso quindi l’individuo non starebbe facendo altro che perseguire la propria felicità o la minor infelicità possibile.
La ricerca della felicità consiste in questi due sforzi:
1-Aumentare la percentuale  emozioni che avvertiamo come positive
2-Adottare atteggiamenti mentali che riducano l’impatto delle inevitabili emozioni negative 
Prima di studiare come procedere in questo campo analizzeremo un utile stratagemma che ci fa guadagnare punti su tutti e due i fronti.
Rimandiamo quindi il dibattito sullo scopo del gioco, sullo scacco matto, e iniziamo a valutare un piano strategico per aprire e per condurre la partita: l’altruismo, inteso come “tendenza psicologica a valutare come preziosa la felicità altrui, accettando anche sensazioni negative in vista dell’altrui benessere”. Ma la definizione comporta domande urgenti: “Ma quante sensazioni negative devo accettare per il bene altrui? Quando posso rifiutarmi di soffrire per gli altri senza per questo cadere nell’egoismo?” Urge quindi una definizione più precisa.
Iniziamo però a descrivere i vantaggi dell’altruismo così com’è definito.
Istintivamente cerchiamo tutto il giorno sensazioni positive, ma se lo facciamo in modo irrazionale avremo in premio pessime sensazioni, perché purtroppo, nello stadio evolutivo raggiunto dal nostro corpo, le sensazioni “non dicono sempre la verità”.
L’organismo di solito premia la mente con una sensazione positiva quando è avvenuto qualcosa di salutare: la fame si è placata e il corpo che ha ricevuto energia ce lo fa sapere; allo stesso modo una sensazione negativa mostra un potenziale danno per il corpo. Tuttavia se fosse sempre così (tralasciando per semplificare il discorso più articolato sulle emozioni) non ci sarebbe nulla di male a inseguire ogni istante sensazioni positive e a fuggire ogni istante da quelle negative. 
Tutti però impariamo molto presto che alcune sensazioni positive (per esempio quelle prodotte dalle sigarette) producono sensazioni negative nel lungo termine e alcune sensazioni negative (per esempio quelle sopportate per fare sport) ne producono di positive. Inoltre sviluppare un’eccessiva avversione alle sensazioni negative e un eccessivo attaccamento a quelle positive può portare alla cosiddetta “Sindrome della principessa sul pisello”: la mente, abituata a fuggire e rifiutare ogni dolore, soffrirà anche per minimi disagi, diverrà insofferente e infelice anche in mezzo agli agi più sfrenati.
Anche l’uomo più egoista del mondo se è intelligente impara l’importanza della frustrazione: impara cioè che a volte bisogna soffrire per gioire dopo, si dispone ad essere altruista verso una persona che ancora non esiste: il suo Io del futuro.
Si tratta di una delle più banali verità psicologiche, che però forse perché banale viene un po’ sottovalutata nella cosiddetta civiltà del benessere.
Il passaggio successivo del nostro ragionamento è la considerazione (altrettanto banale, altrettanto trascurata) che la maggior parte delle nostre gioie deriva da altre persone: dal loro lavoro, dal loro affetto, dalla loro onestà, dalla loro intelligenza...Qualunque gioia consideriate è strettamente in relazione con il lavoro o la presenza di qualcuno: è pertanto più probabile godere appieno delle nostre gioie in un mondo di persone felici piuttosto che in un mondo di persone infelici. Anche una gita in montagna in solitudine sarà meno gradevole se avremo scarpe costruite male o cibo quasi tossico a disposizione!
Non ha neppure molto senso tracciare un confine troppo rigido tra le persone che amiamo e gli sconosciuti, comportandoci bene con gli uni e male con gli altri: per capirlo facciamo un esempio concreto: immaginate di dover subire un importante intervento chirurgico. Preferireste che il chirurgo si presentasse riposato oppure che avesse trascorso la notte insonne e pieno di preoccupazioni? Ecco che cominciamo a intuire l’importanza della felicità degli sconosciuti.
In sostanza adottare un atteggiamento sia psicologico che concreto di attenzione scrupolosa alla felicità altrui è conveniente per la nostra stessa felicità.
Tornando all’egoista intelligente, egli riconoscerà allora l’importanza di accettare sensazioni negative non solo per il proprio “Io futuro” ma anche per gli altri (indirettamente comunque beneficiando il proprio Io futuro), riconoscerà l’importanza di una morale “kantiana” secondo cui è bene comportarsi secondo linee guida tali che- se fossero adottate da tutti- ne emergerebbe una società in cui ameremmo vivere.
L’altruismo (una volta impostato un allarme cognitivo per il versante masochistico) dà benefici concreti anche se ci mostriamo scettici su un ritorno pratico della nostra bontà: infatti un atteggiamento genuinamente cordiale, che si accompagna di riflesso alla convinzione della positività della felicità altrui, produce un numero maggiore di sorrisi, di sincero affetto, di sensazioni sociali positive, e genera in chi ci incontra la convinzione di potersi fidare di noi, una verità che poi potrebbe avere anche conseguenze pratiche positive.
Per questo la nostra ricerca della felicità è preceduta dall’analisi dell’altruismo: perché rincorrere la felicità solo per se stessi può paradossalmente tramutarsi in un aumento dell’infelicità, per più di un meccanismo a “cavallo di Troia”, in cui la ricerca del piacere si tramuta in dolore, la competizione con la felicità altrui ci rende poco competitivi, il sospetto verso gli altri attira sospetti su di noi e via dicendo.
Riassumendo (e integrando) l’altruismo serve per:
-Costruire una società in cui ci piaccia vivere
-Avere relazioni sociali positive e aumentare il numero dei sorrisi sinceri
-Avere uno stato d’animo ben disposto verso la fatica (dato che inevitabilmente l’altruista non può essere troppo pigro)
-Imparare ad apprezzare la lettura di quei magnifici libri che sono gli altri esseri umani, ricordandosi che si impara molto anche da libri secondari e trascurati dalla letteratura ufficiale.



Nel prossimo articolo una classe di studenti immaginari porrà le sue obiezioni razionali all’altruismo.

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