lunedì 26 settembre 2022

La possibile esistenza di Dio

“Per via della risoluzione che lo caratterizza, un tale intelletto è orientato verso una sola (eka) direzione, mentre quello di chi ha un’indole instabile si perde in un’infinità di rivoli” Bhagavad Gita , trad. Scarabelli, Vinti


“… è nel proprio centro che l’anima finirà per scoprire, dopo acuta purificazione, la presenza di Dio». Edith Stein, Scientia Crucis


“Il fattore psicologico, che agisce con maggior potenza sull’uomo, funge da “dio” poiché è sempre il fattore psichico più potente che viene chiamato dio.” Carl Gustav Jung


“That deity arises from bodhicitta, which comes from the buddhas.”

Garchen Rinpoche, Vajrakilaya


Proseguo i miei appunti sull’analisi mentale eugnostica (eugnosticismo è un neologismo di cui ho già accennato in precedenti articoli: si tratta in sostanza dell’applicazione della conoscenza razionale ai fenomeni interiori di cui si ha coscienza, conoscenza che non deve avere bias scettici né bias fideistici).

Ho già illustrato la mia suddivisione dei singoli istanti di coscienza in atomi mentali, riconoscendone (a differenza delle suddivisioni tradizionali in skanda) solo quattro (ricordando però che i primi tre comprendono anche i rispettivi phantasmata: per comprendere vedi articoli precedenti):

Vista

Udito

Sensazioni corporee

Pensieri

Soffermandoci sui pensieri, di cui ho formulato una definizione che procede per negazioni successive (“ogni fenomeno che appaia alla coscienza e non sia visivo, né uditivo, non sia sensazione corporea, e non sia neppure fantasma visivo, uditivo o corporeo, viene definito pensiero”, definizione che attinge al concetto aristotelico di “fantasma”), vorrei ora analizzare un sottogruppo di pensieri molto importante: i pensieri volitivi. Essi sono il vero movente di tutta la nostra vita, dal momento che, escludendo i fenomeni riflessi e automatici, ogni nostro movimento muscolare, compresi quelli dei muscoli laringei, e larga parte dei pensieri cognitivi, dipende da essi.

I pensieri volitivi sono dunque il motivo delle nostre azioni volontarie, e a livello lessicale (ricordando che però non sempre i pensieri sono espressi con parole: essi sono più rapidi e più profondi della loro vocalizzazione) si possono definire come frasi che iniziano con verbi come: “Devo fare / è necessario fare” e affini.

Ciascun pensiero volitivo dipende da pensieri volitivi di ordine gerarchico superiore, che si possono rintracciare con una catena di domande causali (“devo fare x” Perché? “Perché y” Perché y? “Perché z” e così via) fino ad arrivare a dei postulati, ovvero a delle volizioni che ci appaiono non più discutibili o spiegabili, talmente evidenti per noi da non essere più ulteriormente analizzabili, oppure talmente a fondo analizzate in passato da essere assurte al ruolo di postulato per evitare continue rimuginazioni. Ho chiamato queste volizioni-postulato “centri volitivi”.

È ipotesi di questo scritto che i centri volitivi del singolo soggetto possano essere anche più di uno ma che sia opportuno per la salute mentale che siano ordinati gerarchicamente e che ve ne sia uno solo superiore a tutti gli altri, in modo che, in caso di decisioni che fanno confliggere due centri si sappia sempre quale centro scegliere. Per usare una metafora, nel pantheon possono esserci più dei, ma una sola deve essere la divinità suprema a cui tutte le altre devono ubbidire. È facile nella vita quotidiana assistere a conflittualità di questi centri. Se il centro “amore per la famiglia” confligge con il centro “sete di successo” si verificheranno quei casi di padri combattuti fra carriera e famiglia, che rischiano di far male l’una e l’altra cosa…

C’è chi sostiene che l’incoerenza sia inevitabile per gli esseri umani, ma io credo che (sebbene  forse la coerenza assoluta sia solo un asintoto verso cui tendere) quanto maggiore è la coerenza con un obiettivo “nobile” tanto maggiore sarà la soddisfazione esistenziale dell’individuo; viceversa l’incoerenza renderà più lontani tutti gli obiettivi dell’individuo a causa di dispendio energetico e conflitti (e invece la coerenza con un obiettivo inadeguato ovviamente impoverirà l’esistenza).

Se un centro volitivo ha molta importanza e non viene soddisfatto, nascerà inevitabilmente del dolore esistenziale. Per cui si verifica in un certo senso il divieto evangelico di servire due padroni. 

La piena consapevolezza del proprio centro volitivo semplifica l’esistenza, ma naturalmente non tutti i centri volitivi sono ugualmente efficaci nel conferire significato profondo alla vita.

Il caso estremo (patologico, talmente anomalo da non verificarsi quasi mai) del soggetto che assume come unico centro la ricerca di sensazioni corporee positive mostra un singolare paradosso: poiché la vita umana necessita continuamente dell’aiuto e della collaborazione con altri esseri, il suddetto egoista si troverà a un bivio: o rinunciare alle sensazioni positive procurate da una buona interazione con gli altri (che non può più di tanto simulare, e anche simulata non rende altrettanto) o allontanarsi dal suo centro almeno temporaneamente, con una scissione mentale (“schizofrenia” spirituale) dolorosa. Per converso l’altruista disposto a rinunciare a sensazioni positive per aiutare il prossimo potrebbe a volte ricevere sensazioni positive che non aveva cercato, suggerendo un piccolo richiamo alla massima evangelica secondo cui prima bisognerebbe cercare il “regno di Dio” e tutto il resto sarà dato in aggiunta.

Si verificano insomma curiosi paradossi in ambito spirituale.

La mia personale sensazione è che di questa “schizofrenia” spirituale soffriamo più spesso di quanto ci rendiamo conto, e che riusciamo ad attutirla solo grazie al nostro effimero benessere.

La ragione guida a capire che è necessario un centro, e l’esperienza, insieme alla ragione stessa, può guidare alla scelta del centro.

Se il centro volitivo è lo spirito di fratellanza fra esseri, Mahakaruna, possiamo avere alcune “garanzie esistenziali”: infatti tale caratteristica, oltre ad essere un fattore cruciale in religioni non teistiche come il buddhismo, è anche un attributo di Dio in molte religioni teistiche, inoltre nelle relazioni interpersonali la predisposizione allo spirito di fratellanza agevola di molto i rapporti e rende più sincere le manifestazioni di affetto.

Avere uno spirito di servizio agli altri rende meno gravoso il lavoro e aumenta la predisposizione all’ironia.

Un aspetto più profondo da comprendere riguarda il fatto che un centro volitivo modifica anche il mondo cognitivo: ciò che si conosce del mondo e la filosofia attraverso cui lo si interpreta dipende, per vie non sempre immediatamente riconoscibili, dai nostri centri volitivi, e non solo nel senso deteriore di una cecità che impedisce di vedere ciò che contrasterebbe con i nostri desideri ma anche in un senso a volte spiritualmente positivo: la filosofia di vita è “generata” dal centro volitivo in modo inaspettato. Occorre un esempio: tra una filosofia pessimista che vede il mondo come concatenarsi causale privo di senso trascendente in cui la felicità umana è una chimera e una opposta filosofia che riconosce un senso e che ritiene che il gioco/battaglia dell’essere umano non sia solo il dimenarsi di una marionetta ma possa anche essere una progressione spirituale verso livelli sempre più alti di realizzazione e di Bodhicitta, e che la gioia anche del più piccolo degli esseri sia un tesoro che in qualche modo misterioso e vasto sfugge alle leggi dell’impermanenza, l’uomo che ha scelto un centro volitivo di fratellanza sceglierà la seconda filosofia. Dato che la prima filosofia porta a dolore esistenziale e a comportamenti inadeguati essa è per lui falsa. Ecco quindi che un centro volitivo nobile come Bodhicitta illumina il suo “devoto”, verificandosi una sorta di “credo ut intelligam”, e il centro volitivo porta a nuovi criteri di verità/falsità.

Meglio precisare ulteriormente.

Ciò che indica se un fenomeno sia vero o falso è il sistema di postulati di riferimento. Un fenomeno testimoniato dai sensi non è di per se stesso vero o falso a meno che la filosofia di fondo non ne accerti con chiara cognizione la natura. Insomma  i postulati filosofici determinano il criterio di verità, ma tali postulati dipendono esclusivamente dal centro volitivo. Se il centro volitivo è un Dio di Compassione, anche i fenomeni più duri dell’esistenza, avendo caratteristiche impermanenti, verranno ritenuti solo apparenze mondane, qualcosa destinato a finire, e mai intralci lungo il cammino o fenomeni che pongono dubbi alla fede. Viceversa i traguardi spirituali, i legami affettivi nobili e i frutti dello spirito di fratellanza verranno ritenuti come intrinsecamente eterni, in quanto discendenti dal centro volitivo, di cui non si può mai percepire la fine dipendendo dall’adesione volontaria del soggetto.  In effetti tali frutti persistono anche dopo la morte dell’individuo. Invece di ogni dolore non si può negare che prima o poi scompaia: a che scopo fondare una filosofia sul dolore? Fondare il proprio centro sulla gioia invece mette già in una buona disposizione d’animo.

Se non ricordo male, perché non mi riesce più di trovare la citazione, Teresa d’Avila riferiva di aver ricevuto da Dio il consiglio di considerare falso tutto ciò che non discende da lui. Così chi ha posto Mahakaruna come centro dell’esistenza considererà falsi tutti i pensieri che non discendono da (e non generano a loro volta) Mahakaruna. E all’interno delle singole attività quotidiane in cui si declina il servizio al proprio “centro”, sarà considerato come vacuità tutto ciò che non è attinente a tale attività. Così il soggetto può allenarsi alla vacuità (intesa in senso buddhista) contemporaneamente all’esercizio della compassione: come ho scritto altrove, tutto ciò che non è amore è vacuità. L’amore si salva dall’impermanenza e la trascende, perché ogni istante dell’individuo sarà occupato dall’amore che dunque risulta esistenzialmente eterno (l’individuo non ne percepirà mai la fine, e inoltre consegnerà un testimone di fratellanza al futuro).

Il “vedere tutti fenomeni come sogno”, consigliato nel lo-jong e nello Dzogchen, riceve una cruciale modifica: considerare così tutti i fenomeni, tranne Uno.

Per concludere questa prima parte, ecco un aforisma : “senza dio (=centro volitivo) non c’è nessuno. A te la scelta di quale dio sia il migliore”.


[Una piccola raccomandazione: evitare il masochismo, essere equilibrati].


[Piccola dimostrazione dell’impossibilità di avere più centri volitivi equipotenti.

Se due centri volitivi non hanno mai conflitti, essi sono come un unico centro, perché la loro piena compatibilità permette di leggerli come comandamenti equipotenti, come uno scopo di vita che si declina in due componenti. Se hanno conflitti è opportuno predeterminare quale dei due prevalga, e quindi va da sé che quest’ultimo è gerarchicamente superiore.]

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