venerdì 16 novembre 2018

7-Quello che ho capito della vacuità


8-QUELLO CHE HO CAPITO DELLA VACUITÀ (Da “L’Anatomia delle Emozioni” di Davide Corvi)
“Only fools claim that emptiness is nihilism.”
Meditation on the nature of mind 
Dalai Lama /P. Lhundrub /J.Cabezon

Esistono tematiche appartenenti alla filosofia religiosa che possono risultare interessanti anche per chi si occupa solo di psicologia laica. Uno di questi è il tema della Vacuità, trattato estesamente nelle Lezioni Italiane del Dalai Lama.
In questo capitolo cercherò di esporre una versione laica della Vacuità, tentando nei successivi  anche di mostrare che la sua comprensione, maturata nell’ambito di una religione ateistica come il Buddhismo, non è forse incompatibile con una visione teistica della vita.
Partirò da un esperimento pratico di neurologia che ogni anestesista effettua molte migliaia di volte nella sua carriera: l’anestesia spinale. 
Per alcuni interventi chirurgici è possibile rimuovere la sensibilità del corpo al di sotto di un certo metamero iniettando una dose di anestetico locale nello spazio subaracnoideo, caudalmente rispetto al midollo spinale. Il paziente, posizionato inizialmente con le gambe flesse, avverte un intorpidimento delle gambe e, nel giro di pochi minuti,  la scomparsa di ogni sensibilità degli arti inferiori e anche della capacità di movimento, tanto che è possibile amputare una gamba senza che il paziente avverta alcun dolore. Curiosamente spesso il soggetto riferisce la sensazione di avere le gambe flesse anche quando queste sono completamente estese: l’anestesista allora spiega che il cervello ha “memorizzato” l’ultima posizione prima dell’anestesia, e ora che tutti i segnali nervosi provenienti dai nervi delle gambe sono scomparsi, quasi per “riempire un vuoto anatomico” il cervello crea o persiste nell’immagine percettiva delle gambe flesse. Analizziamo questo fenomeno sensoriale da vicino. La sensazione “gamba flessa” non è presente nelle gambe, dato che queste non hanno più la possibilità di inviare segnali alla coscienza. Il fenomeno è pertanto presente solo nella scatola cranica (oppure, se siamo sostenitori di un dualismo mente-cervello, argomento che ora accantoneremo per necessità di semplificare un discorso già complesso, la sua componente elettrica comunque lo è). 
Ecco dunque il fatto eclatante: una sensazione a noi così intima come la posizione delle nostre stesse gambe non solo si rivela falsa (con grande stupore del paziente!) ma si rivela ad un attenta analisi collocata spazialmente in una sede che non ha nulla a che fare con le gambe! 
Proseguendo nella nostra riflessione siamo costretti a constatare che quello che l’anestesia spinale ci ha rivelato è in realtà ciò che avviene per qualunque fenomeno corporeo: ogni sensazione è in realtà dovuta a un movimento di elettroni nella scatola cranica e non nel corpo reale. Questo è un primo livello di Vacuità dei fenomeni, di cui i buddhisti parlano solo per metafore ma i neuroscienziati e i neurochirurghi sanno per certo essere vero: i fenomeni non sono come li percepiamo e neppure dove li percepiamo: il mondo che viviamo è solo una riproduzione del vero mondo, del quale non possiamo conoscere nulla “direttamente”, proprio come i filosofi empiristi da Hume in poi avevano capito. Però, in difesa dei filosofi realisti che si oppongono ai pensatori scettici, questo non significa affatto che il mondo reale non esista: con un parallelismo un po’ azzardato, è vero che non possiamo vivere di persona i fatti della Rivoluzione Francese, e possiamo solo leggerne dei resoconti, ma ciò non significa che questi fatti non siano avvenuti.
Noi vediamo solo un resoconto delle cose, un resoconto elaborato in modo coerente e logico dal cervello.
Il secondo livello di Vacuità dei fenomeni consiste nella considerazione, derivata dallo studio della fisica, di come qualunque evento e qualunque oggetto siano composti da particelle-onde infinitamente piccole, in continuo vorticoso movimento, la cui natura energetica o corpuscolare sfugge attualmente a una chiara definizione: in poche parole, non solo non possiamo percepire direttamente il mondo, ma bisogna ammettere che- anche se potessimo percepirlo- esso si rivelerebbe un complesso intrecciarsi di evanescenti fenomeni microscopici.
Però dobbiamo fare attenzione a con cadere in un poetico nichilismo, vedendo avverarsi la profezia shakespeariana secondo cui “siamo della sostanza di cui sono fatti i sogni”: pensarlo condurrebbe all’azzeramento di ogni condotta morale: a che pro agire per il bene altrui o nostro se tutto non è altro che un sogno?
In realtà dobbiamo immaginarci come immersi in un particolare videogioco di realtà virtuale, tale per cui se appare una tigre, noi sappiamo che quello che vediamo è solo un gioco di luci e non una tigre vera, ma sappiamo anche che- a differenza dei giochi virtuali-in quel momento il nostro impercettibile corpo reale sta davvero per essere divorato da un’altrettanto impercettibile tigre reale, e le conseguenze di tale pasto sarebbero da un lato impercettibili ferite reali ma dall’ altro percepibilissime ferite virtuali! Sappiamo cioè che le nostre scelte e i nostri comportamenti avranno una conseguenza sulla nostra vita e  sulle vite degli altri, sulle loro emozioni.
Per questo dobbiamo impegnarci con tutta l’anima per vincere quella partita virtuale, una volta stabilito quali sono gli obiettivi.
Io propongo quindi da un punto di vista filosofico un realismo moderato: gli eventi non sono immaginari, però non sono direttamente percepibili, ne possediamo solo un’utile riproduzione (non diceva forse S.Paolo che vediamo le cose attraverso uno specchio?).
Se la visione realista garantisce la necessità del nostro impegno nel mondo, la sua moderazione ad opera della teoria della vacuità riduce l’impatto doloroso dei fenomeni stessi: una volta avvenuta la lotta con la tigre, una volta medicate le ferite, mi ricorderò che il dolore che provo non è reale, è solo virtuale.

Il terzo livello della Vacuità è la Vacuità del Sè, ma richiede un capitolo a parte.

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